Il dibattito culturale sulle prospettive della scuola italiana è stato fortemente segnato dalla denuncia circa le (presunte?) defaillances degli studenti italiani nelle competenze linguistiche fondamentali (capacità di argomentazione, di comprensione, di sintesi e scrittura, ecc.). Valenti accademici sono scesi in campo con accorati appelli volti a ripristinare serietà e rigore nell’acquisizione delle abilità linguistiche di base a tutti i livelli scolastici, ma in particolare nelle fasi iniziali del percorso formativo. Tuttavia, la classica indagine internazionale IEA-PIRLS sui livelli di lettura dei ragazzi italiani testimonia una buona tenuta di questa capacità tra gli allievi della nostra scuola primaria (cfr. Da Re, 70). Dunque le questioni sulla “literacy” sono assai complesse, e non attengono certamente solo alla impreparazione dei docenti o alla scelta di questo o quel metodo didattico (ad esempio si è tornato a parlare di padronanza del gesto grafico della scrittura e di elogio del corsivo).
In effetti sarebbe necessario interrogarsi sullo stato di salute della lingua, scritta e parlata, nella società dell’estasi audio visuale e della comunicazione pervasiva (ma sincopata), e sul rapporto delle giovani generazioni con gli alfabeti, mezzi indispensabili per esprimersi e, ancora prima, per pensare (cfr. Fasoli, 59). Spesso le pratiche didattiche correnti a scuola hanno impoverito la didattica della lingua (considerandola una facile strumentalità), o hanno inseguito stereotipi fintamente letterari (il “tema”) a scapito di una conoscenza approfondita del funzionamento della lingua. Qua e là affiorano anche nuove suggestioni nei campi più ostici, come quello della riflessione linguistica e grammaticale (cfr. Pona, 58).
Da ultimo, nelle recenti modifiche all’impostazione delle prove d’esame (cfr. Calì, 63), appare un rinnovato interesse nel mettere alla prova capacità di scritture funzionali, di rielaborazione e di sintesi, di comprensione e produzione di una varietà di tipologie testuali.
Poi è stato fin troppo facile, nel circo mediatico, ridurre la questione alla esaltazione delle virtù del “riassunto” e alla critica senza appello del “tema”, mentre in gioco è la riscoperta di una solida educazione linguistica che, ben descritta nelle vigenti Indicazioni curricolari, stenta a diventare pratica diffusa e generalizzata nella scuola (cfr. Mion, 60).