Una “concertazione” necessaria
Il giorno 2 novembre u.s. la Conferenza Unificata (il tavolo istituzionale ove siedono assieme i rappresentati dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali) ha approvato due importanti atti per avviare l’attuazione del decreto legislativo 65/2017 relativo al sistema educativo integrato “zerosei”. In particolare è stato dato il via libera al Piano di azione pluriennale per lo sviluppo dello zerosei (previsto dall’art. 8 del Decreto) ed al Piano di riparto dei finanziamenti disponibili. Si tratta di una cifra consistente, 209 milioni per il 2017 messi a disposizione dal d.lgs 65 cit., la “copertura” più elevata tra gli otto decreti delegati, che diventerà strutturale negli anni successivi con finanziamenti in incremento. Il coinvolgimento della Conferenza è indispensabile in una materia, quella dei servizi educativi 0-3 anni, che è di stretta pertinenza delle Regioni (come ha ricordato la Corte Costituzionale nella recente Sentenza n. 284 del 22-11-2016). La sfida è assai complessa perché lo zerosei deve vedere la compartecipazione dello Stato (che ha la titolarità giuridica sul sistema di istruzione 3-6 anni) e delle Regioni (per lo 0-3), anche se il D.Lgs. 65/2017 affida il “pilotaggio” dell’intero sistema allo Stato, e per esso al Miur. Il Piano di azione, in questa prima stesura, è assai sobrio e non esplica in maniera articolata le azioni che si potranno sviluppare nei prossimi anni, ma si limita a delineare le coordinate di fondo, peraltro già presenti nel decreto legislativo.
La ripartizione dei fondi
I fondi disponibili saranno versati direttamente ai Comuni (anche in forme associate), per sostenere lo sviluppo del sistema “zerosei” nel territorio di competenza. È evidente che la cifra, pur consistente, non esaurisce i costi complessivi dell’intero sistema, ove ad esempio “magna pars” è rappresentato dalle scuole dell’infanzia statali, per le quali il maggior onere è dovuto al personale docente impegnato in 43.107 sezioni (organico 2017-18). I nuovi fondi statali, ai quali si dovranno aggiungere fondi messi a disposizione dalle Regioni (nella misura di un 20% di compartecipazione per il 2018 e del 30% a partire dal 2019), aumentano comunque il budget che il nostro Paese destina all’infanzia.
È prevedibile che i fondi, in questa prima fase, andranno a rinforzare i servizi educativi per i bambini da 0 a 3 anni, perché è questo il settore più carente nel nostro Paese. È quindi necessario sia espandere i servizi educativi là ove non sono presenti, soprattutto nelle regioni del sud, sia sostenere il funzionamento dei servizi là ove sono già diffusi (come nelle regioni del centro-nord), tenendo conto dei costi crescenti che tendono ad allontanare gli utenti dal servizio. In effetti uno degli obiettivi dello “zerosei” è quello di fare uscire i nidi d’infanzia dall’area dei servizi a domanda individuale, quindi di natura privatistica e assistenziale. Ecco perché i criteri di assegnazione dei fondi tengono conto sia del numero dei bambini residenti nelle diverse regioni (per il 40% del budget), sia dei bambini già frequentanti i servizi (per il 50%), oltre che, per un 10%, delle realtà non servite dalle scuole dell’infanzia statali. Complessivamente, ad un primo sguardo, la distribuzione sembra avvantaggiare le Regioni già ricche di servizi educativi.
Cosa si potrà finanziare?
L’accordo mette in evidenza le spese finanziabili, sulla base di “tipologie prioritarie di intervento” che saranno individuate dalle diverse Regioni, che raccoglieranno e vaglieranno le “istanze” dei Comuni (singoli o associati). Si parla di costruzione, riadattamento, rifunzionalizzazione di strutture educative (ma sappiamo come questi interventi richiedono tempi medio-lunghi), di spese per il funzionamento (che si riferiscono in massima parte al personale educativo, tenuto conto dei parametri numerici necessariamente “ridotti”) e per esplorare e sostenere lo sviluppo di nuove tipologie (come i poli infanzia 0-6 o le sezioni primavera). Un settore oggetto di intervento è legato all’istituzione dei coordinamenti pedagogici e alla formazione del personale educativo e insegnante. Opportunamente l’Accordo ricorda che, in materia di formazione in servizio, occorre raccordarsi con il PNFD (Piano nazionale formazione dei docenti: DM 797/2016), che mette a disposizione degli ambiti territoriali finanziamenti che dovranno tener conto anche dei bisogni formativi di chi opera nel settore “zerosei”, magari attraverso progetti co-finanziati dai diversi soggetti.
C’è anche il polo infanzia
Va anche ricordato che altri finanziamenti sono stati messi a disposizione del sistema zerosei per la costruzione di nuovi edifici di “edilizia sperimentale” e innovativa, ove accogliere i poli infanzia. Si tratta di ulteriori 150 milioni di euro dedicati, che consentiranno di costruire “materialmente” alcuni poli infanzia (da uno a tre) in ogni regione italiana. Il tema è assai suggestivo, perché entra direttamente nel merito della cornice pedagogica dello zerosei con le sue parole chiave di “cura, accoglienza, corpo, relazione, corporeità, routine, bisogni primari” (tipiche nei nidi d’infanzia) e di “apprendimento, linguaggi, campi di esperienza, curricolo, competenze” (tipiche delle scuole dell’infanzia). Il polo dovrebbe mettere al centro del proprio progetto educativo la condivisione di questi principi pedagogici, vedendo come questi caratterizzano le diverse età della vita e dello sviluppo dei bambini. Il polo, dunque, non è solo un progetto edilizio, ma un modo di sperimentare modalità innovative di continuità educativa per l’infanzia. Si tratta di poche strutture sperimentali nel nostro Paese, che potranno però generare interessanti prospettive educative. In una condizione analoga sono le sezioni primavera, circa 1.600 in Italia, per le quali ci si poteva aspettare più incisività dall’accordo Stato-Regioni. Il decreto 65/2017, come ribadito nel recente accordo, prevede la stabilizzazione e il consolidamento delle sezioni primavera, da interpretare come utile banco di prova della cultura dello zerosei. Accogliere bambini dai 24 ai 36 mesi in strutture adeguate e con un progetto educativo ad hoc richiede lo sviluppo di professionalità appropriate: è naturale prevedere che in una sezione primavera possano operare, fianco a fianco, educatrici di infanzia, insegnanti di scuola dell’infanzia, assistenti educative. Ma questa è, ad onor del vero, una nostra libera interpretazione.
Cosa resta da fare?
Con gli Accordi in Conferenza Unificata siamo appena ai primi passi dello zerosei. È auspicabile che a questa prima cornice facciano seguito altri passaggi, indispensabili per dare respiro più ampio all’intero settore. A tal fine due ci sembrano le operazioni indispensabili.
Sul piano culturale occorre dar vita alla “Commissione tecnico-scientifica” nazionale, che dovrà elaborare Orientamenti educativi per il nido (0-3 anni), che oggi mancano, e dovrà coordinare la progettualità di nidi e scuole dell’infanzia (queste ultime già dotate di proprie Indicazioni nazionali per il curricolo/2012) attraverso la definizione di linee guida pedagogiche 0-6. Questa prospettiva dovrà essere rispettosa delle diverse identità dei nidi di infanzia e delle scuole dell’infanzia, e del pluralismo pedagogico che caratterizza questo segmento educativo.
Sul piano della gestione sarà costituita una “cabina di regia” paritetica Stato-Regioni (con 8 rappresentanti) per regolare lo sviluppo dell’intero sistema e monitorare l’uso corretto dei finanziamenti. Resta poi decisiva la questione dell’organico di potenziamento per la scuola dell’infanzia statale. Come è noto nella tabella dell’organico di potenziamento allegata alla legge 107/2015 (per n. 55.258 posti aggiuntivi) manca la scuola dell’infanzia, con grave pregiudizio non solo per l’immagine, ma per le possibilità di un’efficace organizzazione. Ci riferiamo ai temi della compresenza (citata nel d.lgs 65/2017), del coordinamento pedagogico (valorizzando le migliori professionalità presenti anche nella scuola statale), del tempo disteso e della qualità degli ambienti di apprendimento. Si attendono quindi le scelte che saranno operate in sede di definizione complessiva degli organici del personale docente, per introdurre il “potenziamento” anche nella scuola dell’infanzia (Ministero dell’Economia permettendo). La strada, dunque, è ancora in salita.