A che punto siamo dopo l’approvazione del decreto?
È la seconda volta che il Governo interviene, a distanza di sei mesi, con un provvedimento riguardante il Sud d’Italia. Così, dopo il decreto dello scorso dicembre (D.L. 243/2016, convertito in L. 18/2017) relativo a “Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno”, il 20 giugno del corrente anno viene approvato, ancora una volta con decretazione d’urgenza, il D.L. n. 91 (convertito nella L. 123/2017), recante “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”, contenente, all’art. 11, “Interventi urgenti per il contrasto della povertà educativa minorile e della dispersione scolastica nel Mezzogiorno”.
Se da un lato la “Buona scuola” aveva evitato di mettere in agenda la questione delle disomogeneità territoriali, dall’altro i decreti legislativi attuativi disattendevano l’individuazione dei LEP cui la legge 107/2015 faceva riferimento, rendendo di fatto inattuata la delega.
La pubblicazione del “decreto Mezzogiorno” rappresenta sicuramente “una buona notizia”, come l’ha definita l’ex sottosegretario Marco Rossi Doria, intervenuto qualche mese fa sull’argomento, per rilanciare l’azione educativa «nelle aree di esclusione sociale, caratterizzate da povertà educativa minorile e dispersione scolastica, nonché ad alto rischio di adesione alla criminalità organizzata».
Meno entusiastici, invece, i toni di alcune forze politiche e sindacali, scettiche circa la scelta operata di finanziare la lotta alla dispersione scolastica con i fondi PON 2014-2020, quindi senza nuove risorse aggiuntive.
Il contrasto alla dispersione: che fare?
Il modello dei Programmi Operativi Nazionali è già stato sperimentato in passato: si pensi alla programmazione PON Scuola 2007-2013 riservata alle regioni dell’obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) che, nonostante il notevole investimento di risorse europee, non hanno prodotto in tutti questi anni i risultati sperati, come riportano diversi autorevoli rapporti nazionali e internazionali.
Si tratta quindi di una vera e propria “questione meridionale” dell’istruzione, che meriterebbe, a questo punto, ben altri e più strutturali interventi programmatici per ridurre il divario territoriale del Mezzogiorno d’Italia con altre regioni. Sicuramente merita tempi di discussione e di elaborazione progettuale ben più distesi rispetto ai tempi dettati dai provvedimenti d’urgenza.
Non mancano però, come emerge da più parti, proposte “divergenti”, secondo l’accezione di Guilford e De Bono, che vanno dalla drastica riduzione del numero degli studenti per classe nelle aree di esclusione sociale (ancora da individuare), per attuare “realmente” una didattica personalizzata “di tutti e di ciascuno”, all’utilizzo delle migliaia di insegnanti meridionali finiti in altre parti d’Italia per disfunzioni legate ad “algoritmie” burocratiche, per un progetto straordinario di lotta alla dispersione scolastica.
Cosa prevede il “decreto Mezzogiorno” per la scuola?
“Al fine di realizzare specifici interventi educativi urgenti nelle regioni del Mezzogiorno volti al contrasto della povertà educativa minorile e della dispersione scolastica”, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, quindi entro il 21 luglio scorso, con decreto del Ministro dell’Istruzione Università e Ricerca, di concerto con i Ministri dell’Interno e della Giustizia, dovevano essere individuate le “aree di esclusione sociale”, caratterizzate da “povertà educativa minorile e dispersione scolastica, nonché da un elevato tasso di fenomeni di criminalità organizzata”.
Il Miur, in base al decreto, deve indire una procedura selettiva per la presentazione di “progetti recanti la realizzazione di interventi educativi di durata biennale, volti al contrasto del rischio di fallimento formativo precoce e di povertà educativa, nonché per la prevenzione delle situazioni di fragilità nei confronti della capacità attrattiva della criminalità”.
L’intervento nel Mezzogiorno, per quanto riguarda la scuola, sarà finanziato ancora una volta nell’ambito delle risorse del PON Per la scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento, riferito al periodo di programmazione 2014/2020.
Il Miur, inoltre, dovrà provvedere, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, e avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, a monitorare l’efficacia e la validità dei progetti, nonché a valutare ex post la qualità dei risultati conseguiti.
Ad oggi però, come evidente e comprensibile, le scadenze previste dal decreto non sono state rispettate, e si resta in attesa degli interventi attuativi previsti nel medesimo dettato normativo.
Chi presenta i progetti di interventi educativi di durata biennale?
Secondo l’articolo 11 del Decreto 91/2017, possono partecipare alla procedura selettiva per la presentazione dei progetti per la realizzazione di interventi educativi di durata biennale, nelle aree di esclusione sociale individuate, le reti di istituzioni scolastiche presenti nelle aree caratterizzate da povertà educativa minorile e dispersione scolastica, purché abbiano attivato partenariati con enti locali, soggetti del terzo settore, strutture territoriali del CONI, delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva o servizi educativi pubblici per l’infanzia, operanti nel territorio interessato.
Dalle dichiarazioni della ministra e dalla relazione tecnica al decreto si apprende che ogni rete di scuole potrà ricevere un finanziamento per un progetto biennale che potrà essere di 30, 60 o 100 ore. Le scuole, nell’ambito della propria autonomia, potranno decidere di utilizzare tali ore aggiuntive di formazione in orario extrascolastico durante l’anno, oppure nei periodi di chiusura delle scuole, e pertanto anche nei mesi estivi.
Il concetto di “Aree di esclusione sociale”
Il concetto di “Aree di esclusione sociale” non è nuovo in campo educativo. Già nel 2012 la circolare Miur 11666 emanava un Avviso riguardante proprio la “Realizzazione prototipi azioni educative in aree di grave esclusione sociale e culturale, anche attraverso la valorizzazione delle reti esistenti”.
Si trattava di una circolare emanata nel quadro della Programmazione dei Fondi Strutturali europei 2007/2013 e, in particolare, nell’ambito dell’attuazione del “Piano d’Azione Coesione per il miglioramento dei servizi pubblici collettivi al Sud”, destinato alle Regioni dell’Obiettivo Convergenza per l’anno scolastico 2012/2013 e finanziato con il FSE. Si intendeva, quindi, dare attuazione all’Azione 3 prevista nel Piano di Azione Coesione (PAC), finalizzata alla prevenzione e al contrasto dell’abbandono scolastico e del fallimento formativo precoce in aree di esclusione sociale e culturale, attraverso l’individuazione delle suddette aree e la selezione degli istituti scolastici capofila delle reti attuatrici degli interventi.
Per la prima volta veniva realizzata, per le quattro regioni del Sud (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), una mappatura delle aree a rischio, in cui attuare gli interventi sulla base di una serie di indicatori dei contesti sociali di appartenenza.
Tra i requisiti per la selezione dei soggetti capofila della rete, invece, gli istituti scolastici delle Regioni dell’Obiettivo Convergenza dovevano possedere esperienza di ricerca e innovazione didattica nel campo della dispersione scolastica e del disagio giovanile, ed aver realizzato, negli ultimi tre anni, esperienze educative e formative nell’area della dispersione scolastica e del disagio.
Interessante sarebbe, oggi, avere contezza delle modalità con cui avverrà l’individuazione delle “aree di esclusione sociale” nella nuova programmazione 2014-2020, e soprattutto poter partecipare all’individuazione dei criteri e degli indicatori relativi alle condizioni caratterizzate da povertà educativa minorile.