Una svolta per l’educazione linguistica?
Su la Repubblica del 18 settembre u.s. è stata pubblicata una lunga intervista al professor Luca Serianni, docente di Storia della lingua italiana alla Sapienza, appena nominato consulente dal Miur con l’incarico di coordinare una task force di esperti “per arginare le carenze linguistiche degli studenti alle Medie e Superiori” (così scrive la giornalista).
L’enfasi del titolo, che parla di “svolta”, e la corposità degli argomenti affrontati suggeriscono un supplemento di ragionamento, che vada oltre l’istantaneità dei commenti sui social. La “svolta” consisterebbe nella rivisitazione delle prove d’esame (scritto di italiano di terza media, poi quello della Maturità): “l’idea è quella di introdurre la tipologia testuale del riassunto”, come afferma il professore. Il riassunto andrebbe a sostituire, nella prova d’esame, il tema, che a giudizio dell’intervistato renderebbe gli studenti inclini a inutili lungaggini retoriche.
Ma esiste ancora il tema?
Anzitutto, quando si mette mano ad una qualsiasi “innovazione” e ad una delicata opera di revisione, è buona regola verificare lo stato dell’arte del bersaglio individuato: nello specifico, è il caso di far presente che il “tema” classicamente inteso, quello su cui si sono cimentati molti delle passate generazioni (tra cui di sicuro il prof. Serianni) nell’esame scritto di licenza media, e dunque nelle attività didattiche, non esiste più da ben oltre un trentennio: precisamente dal 1981!
Andando a rileggere il D.M. 26 agosto 1981- criteri orientativi per gli esami di licenza media, si possono agevolmente trovare non solo le indispensabili informazioni di prima mano, ma alcuni motivi ispiratori tuttora preziosi per un’azione innovatrice, che, opportunamente ricontestualizzati, la renderebbero efficace, sensata, attendibile.
Come avrebbe dovuto essere l’esame di terza media?
Già ad una lettura mirata della Premessa (esemplare per sobrietà e linearità espositiva) emergono elementi di rilievo. Esemplificando: l’intento di rendere le prove d’esame coerenti con i precedenti interventi legislativi, da quelli del 1977 (L. 348, L. 517) ai “conseguenti nuovi programmi di insegnamento, approvati con D.M. 9 febbraio 1979”; ancora, la “caratterizzazione educativa” dell’esame, che significa l’esclusione di ogni accertamento di conoscenze meramente nozionistico, con suggerimenti di tipo metodologico volti a correggere la frammentazione disciplinare tipica della scuola media. Nello specifico della prova scritta di italiano (cui si fa riferimento nell’intervista), lo sfondo pedagogico è certamente l’educazione linguistica dei Programmi del ‘79, con due idee-cardine: 1) l’intento di porre l’alunno/a di fronte a una “varietà di sollecitazioni”, vale a dire di tipologie testuali, di registri, di finalità sia in fase di fruizione che in fase di produzione; 2) la valenza formativa disciplinare, che consiste in buona sostanza nella piena opportunità data all’alunno di “esprimere se stesso”, con riferimento alle “indicazioni programmatiche dell’italiano, lettera a)”.
Quali pratiche di scrittura mettere alla prova?
Coerenti con questo sfondo le indicazioni sulle “tracce” da proporre ai candidati, riferite a tre tipologie su cui ognuno potesse scegliere; in nessuna di queste è riconoscibile il “tema” nella sua classica accezione. Mentre il “riassunto”, che viene proposto, a quanto sembra, dal professor Serianni in alternativa al tema, non è certo compreso tra le prove: ma se ci si interroga sulle finalità didattiche di una simile forma testuale, non è difficile vedere che sono implicate nelle tipologie delle tracce alcune fondamentali operazioni mentali sottese alla scrittura del riassunto stesso (selezione dei contenuti, organizzazione dell’esposizione attorno a nuclei essenziali, distinzione tra il punto di vista di chi scrive e di chi riporta lo scritto…).
Un lavoro di rivisitazione delle prove potrebbe, insomma, rifarsi al processo virtuoso che ha messo capo al provvedimento del 1981. Partire pure, se si vuole, dalla fine del percorso (l’esame), ma restando ancorati all’impianto che attualmente caratterizza la scuola secondaria di primo grado: quelle Indicazioni nazionali per il curricolo (2012) che offrono un insieme organico dal punto di vista culturale, pedagogico e didattico. Il Decreto del 1981, proprio in quanto coerente con il disegno riformatore dispiegato dal 1977 al 1979, contribuì a orientare le pratiche didattiche, in molti casi valorizzando esperienze di innovazione “dal basso”, che le norme avevano raccolto e sistematizzato sul piano istituzionale.
Ripartire dalla scuola che lavora bene sulla lingua
Un analogo processo può attivarsi adesso, a partire da una conoscenza approfondita, diacronica e non solo sincronica, della scuola: avvalersi per questo anche dei docenti, del sapere esperto maturato su quel terreno fecondo che è la scuola agìta e ri-pensata, è indispensabile. Diversamente, anche le più prestigiose risorse del mondo accademico possono incorrere in ipotesi di lavoro fragili perché facilmente confutabili, non tanto sul piano della disputa astratta, quanto su quello dei processi reali.
Partire da ciò che è, nelle sue stratificazioni storiche, senza nostalgie paralizzanti, e comunque senza quel “nuovismo” inconcludente di cui da tempo la scuola è ostaggio. Il presente e il futuro della scuola si radicano in un terreno profondo: a volte si scopre che il meglio è già stato fatto, e che la più audace innovazione è non permettere che sia distrutto.