Una scuola a “fisarmonica”?

Vietato ai maggiori di 18 anni

Un dibattito di fine estate?

Ha fatto scalpore, soprattutto sulle prime pagine dei grandi quotidiani nazionali, l’ipotesi di riaprire il discorso complessivo sui cicli scolastici, anche immaginando soluzioni radicalmente innovative, come il termine del percorso scolastico a 18 anni di età (rispetto agli attuali 19) o la riduzione della scuola secondaria di II grado ad un quadriennio oppure il “compattamento” del primo ciclo (elementari e medie) con una durata ridotta dagli attuali otto a sette anni complessivi. Queste ipotesi si sono intrecciate anche con la proposta di estendere l’obbligo di istruzione a 18 anni, lanciata dalla Ministra dell’istruzione Fedeli.[1]

Nulla di nuovo sotto il cielo, si dirà! Queste proposte erano state fatte già vent’anni fa al tempo del riordino dei cicli promosso dal Ministro Berlinguer, con la scansione 7 + 5 (cioè 7 anni di scuola di base e 5 anni di scuola secondaria) che però inizialmente si configurava come un 6 + 6 (cioè 6 anni di scuola primaria e 6 anni di scuola secondaria…all’inglese).

Sappiamo come è finita: la legge 30/2000 sui cicli fu abrogata dal Ministro Moratti, che ripiegò – con la legge 53/2003 – su un più rassicurante primo ciclo (di 8 anni: primaria e secondaria di I grado) e un secondo ciclo di 5 anni (con la sostanziale riproposizione di licei, tecnici e professionali), anche in questo caso accantonando le velleità innovative del prof. Bertagna (allora consulente del Ministro), che avrebbe visto volentieri una scuola di base ottennale (scandita in bienni) e una scuola secondaria quadriennale, fortemente canalizzata in licei ampi da un lato e istruzione professionale “forte” alla tedesca, dall’altro. Un sistema “duale” che nel nostro paese stenta a farsi strada.

Le proposte in campo

Oggi questo dibattito ritorna quasi immutato ed il rischio è che nasca già “vecchio”, quasi un tiro alla fune tra chi vorrebbe accorciare il percorso complessivo o ridurre questo o quel segmento e chi invece ritiene intoccabile la durata complessiva. Insomma, un problema di contenitori piuttosto che di contenuti, con motivazioni non sempre cristalline o rese esplicite. Vediamole in sintesi:

  1. Una ipotesi accreditata vede l’istruzione secondaria superiore articolarsi in un quadriennio (questa, al momento è la proposta più concreta, tanto è vero che è già oggetto di sperimentazione da alcuni anni ed ora si intendente estenderla di un campione di 100 scuola, ma con una sola classe per scuola). Il MIUR ha firmato in proposito un apposito decreto nel mese di agosto: http://3.flcgil.stgy.it/files/pdf/20170801/decreto-ministeriale-agosto-2017-sperimentazione-percorsi-quadriennali-di-istruzione-secondaria-di-secondo-grado.pdf
  2. Sullo sfondo resta l’idea di un intervento di restyling del primo ciclo, ove la preferenza va all’integrazione di elementari e medie, all’insegna del curricolo verticale e del contesto dell’istituto comprensivo ormai generalizzato all’88% delle scuole di base.
  3. Minoritaria appare la proposta di un anticipo della scuola primaria a 5 anni, fidando nella migliore “prontezza” dei bambini di fronte alle sollecitazioni di ambienti di apprendimento oggi assai pervasivi.

Criticità ed effetti collaterali negativi

Sarebbe fin troppo facile mettere in evidenza i limiti di queste diverse opzioni, perché il rischio è che siano interpretate come mantenimento dell’attuale impostazione culturale, pedagogica, metodologica avendo l’ansia di dover concludere prima, magari per uno scontato omaggio all’Europa (ma solo metà dei paesi europei conclude a 18 anni il percorso scolastico)[2].

Questo vale in particolare per il “liceo quadriennale” che è oggetto di sperimentazione, ove viene assicurato il mantenimento dell’attuale quadro curricolare (discipline, obiettivi, contenuti) reso più fluido e sostenibile attraverso più efficaci metodologie didattiche. Sorge il dubbio che un percorso “agevolato” sia pensato su misura per gli allievi più “brillanti” e sarebbe interessante capire come sarà composta l’unica classe sperimentale di un istituto (forse sarà la I^ A….?). Insomma, quasi una abbreviazione per merito, assai competitiva (per altro eccezionalmente prevista anche dall’attuale ordinamento).

La “fusione” in un unico percorso di base dei due segmenti attuali del primo ciclo sembra rispondere ad un processo naturale: se si lavora bene “insieme” nell’istituto comprensivo è possibile ottenere buoni risultati anche avendo a disposizione un anno in meno! L’ipotesi è tutta da verificare, perché oggi i processi di alfabetizzazione (strumentale, culturale, emozionale…) richiedono tempi distesi anche a fronte di situazioni fortemente differenziate (nuove povertà, immigrazione, contesti familiari problematici, ecc.) che vanno affrontati con molta cura, per non consegnare a 13 anni un allievo ancora più fragile alla scuola che segue[3].

Con le stesse motivazioni si potrebbe “congelare” l’idea di anticipo, che oggi è facoltativo ma solo per un quadrimestre (Legge 53/2004). Il mondo della pedagogia non vede di buon occhio questa forzatura “alfabetica” e mette in campo l’esempio dei paesi scandinavi ove la scolarizzazione formale viene posticipata a 7 anni, con risultati a distanza molto positivi.

Parliamo di contenuti e di finalità

Di fronte a questo tiramolla le riflessioni più ragionevoli hanno cercato di mettere in risalto le questioni reali da affrontare:

  • La società della conoscenza e dell’innovazione continua richiede un investimento maggiore (e non minore) sull’istruzione, ma anche una maggiore efficacia di questo percorso “lungo” per tutti. Ad esempio, non è sufficiente estendere l’obbligo di istruzione a 18 anni (già oggi c’è un obbligo formativo), se non corroborato dalla capacità di offrire risposte anche differenziate ad allievi molto diversi. Sarebbe molto utile interrogarsi sulla qualità dell’attuale obbligo a 16 anni (e sulla evanescente certificazione delle competenze che viene rilasciata in esito).
  • E’ pur vero che la richiesta del futuro riguarda le “soft skills”, quindi capacità creative, iniziativa, prosocialità, resilienza, ma queste dovranno innestarsi su competenze culturali che richiedono un periodo di sedimentazione significativo. Rispetto a questa esigenza ha facile gioco chi propone di dedicare il quinto anno dell’istruzione superiore alla conoscenza del “900” in tutte le sua implicazioni letterarie, storiche, scientifiche, artistiche[4].
  • Molti ritengono che la durata dell’istruzione sia un falso problema, perché il nodo vero è la capacità del sistema scolastico (così com’è fatto) di catturare l’attenzione e la partecipazione dei giovani, di fornire un “senso” all’esperienza scolastica, in definitiva di migliorare la qualità dei risultati dei ragazzi e quindi le loro opportunità future. Si citano gli alti tassi di dispersione (circa il 15% degli allievi non termina il percorso), ma il buco nero è il livello deprimente della preparazione e degli apprendimenti per ancora troppi ragazzi[5].

Dunque ogni progetto che si rispetti dovrebbe partire da qualche ragionevole ipotesi di soluzione di queste criticità.

Una modesta proposta su cui riflettere

Ci permettiamo, a questo punto, di arricchire la discussione con qualche considerazione finale, partendo da alcune variabili “assegnate”:

  1. Non ridurre, ma possibilmente aumentare gli investimento verso l’istruzione, in termini di risorse, personale, innovazione;
  2. Promuovere una riforma a misura di “ragazzi”, che veda cioè maggiore iniziativa, autostima, decisione da parte degli allievi;
  3. Favorire soluzioni curricolari che possano distendere in periodi significativi (ad esempio i bienni didattici) il percorso formativo, attraverso un lavoro di maggior raccordo tra gli insegnanti, sia all’interno del gruppo docente, sia tra docenti di ordini scolastici diversi, anche attraverso l’assunzione di nuove funzioni (meno insegnamento frontale, più tutoraggio, specie ai piani “alti”);
  4. Affrontare il nodo più critico del nostro sistema, che si manifesta a 14 anni nel passaggio dalla scuola di base (con profili di formazione troppo fragili) a scuole secondarie rigidamente e socialmente stratificate.

Quindi?

Alcune ipotesi organizzative (e di ordinamento) potrebbero favorire una maggiore efficacia dell’intero percorso formativo, anche con l’obiettivo di rilasciare un titolo di studio a 18 anni. Si tratta di misure che attengono la programmazione delle scuole sul territorio, una più forte autonomia didattica, una maggiore flessibilità e libertà di organizzazione. Ci riferiamo a:

  1. SCUOLA DI BASE DI OTTO ANNI: Rendere effettivo il percorso unitario di base degli istituti comprensivi, attraverso la pratica del curricolo verticale, da articolare in bienni (ogni biennio potrebbe essere curato di un consiglio di classe/biennio integrato, si pensi al biennio 5^ primaria e 1^ media)[6]. Il baricentro del comprensivo dovrebbe spostarsi verso l’alto, con obiettivi formativi più solidi da raggiungere a 14 anni, con una scansione 4+4.
  2. STUDENTI CON PIU’ INIZIATIVA: Mettere al centro il curriculum dello studente (Legge 107/2015) con maggiori opzioni a disposizione, in particolare rafforzando la possibilità di scegliere una parte del curriculum degli studi (opzionalità). Serve una effettiva autonomia della scuola: ad esempio la quota del 20% di autonomia – già prevista sulla carta – dovrebbe essere fissata per legge (bloccando solo l’80% di tempo, con orari, discipline, cattedre);
  3. ISTITUTI SUPERIORI COME HUB: Caratterizzare ogni istituto scolastico superiore con uno specifico asse culturale (umanistico, scientifico, linguistico, tecnologico, sociale, economico, ecc.), ma con una diversificazione “interna” all’istituto dei percorsi (lunghi, brevi, disinteressati, operativi, professionalizzanti) adatti ai diversi tipi di intelligenza e attitudine dei ragazzi. Ogni singolo istituto dovrebbe essere un HUB che apre più possibilità (non solo scolastiche, ma anche laboratori, botteghe, stage, start up….);
  4. ULTIMO ANNO DESCOLARIZZATO: Rendere molto più mobile l’ultimo anno dell’istituto superiore (ad esempio, attraverso una scansione curricolare 4 + 1), descolarizzandolo e facendolo diventare un anno di esperienze, di nuovi incontri, di orientamento “praticato”. In uno scenario in continuo movimento è indispensabile proiettare i ragazzi che si possono diplomare a 18 anni verso l’Università, l’Europa, il mondo del lavoro, l’alta formazione, l’esperienza outdoor. Gli insegnanti di questo “quinto anno” dovrebbero trasformarsi in tutor di alto livello, per accompagnare gli allievi in percorsi fortemente caratterizzati.

[1] http://www.lastampa.it/2017/09/02/cultura/scuola/fedeli-cos-accorcer-una-scuole-medie-svolta-ritorno-sui-banchi-ecco-tutte-le-novit-davenia-se-la-scuola-ha-bisogno-mXcdBoKNBgIoDsx8SY8CkN/pagina.html

[2] A.Rosina, Il falso problema della scuola fino a diciott’anni, in “La Repubblica”, 25 agosto 2017.

[3] Sulla funzione della scuola media dibattono da posizioni diverse: C.Cornoldi, G.Israel, Abolire la scuola media? Il Mulino, Bologna, 2015.

[4] A.Asor Rosa, La scuola nelle mani di barbari, in “La Repubblica”, 26 agosto 2017.

[5] M.Veladiano, Scuola, l’obbligo fino a 18 anni non è la priorità, in “La Repubblica”, 24 agosto 2017. Una scuola buona non dipende dalla sua lunghezza, ma “dalla qualità, dalla bellezza, dalla capacità di offrire esperienze significative che permettano di essere a scuola in modo personale, vigoroso, attivo”.

[6] Scrive A.Gavosto (Fondazione Agnelli): “occorre smussare il passaggio, creando continuità didattica fra elementari e medie attraverso un maggior coordinamento fra i rispettivi docenti”. A.Gavosto, La missione che serve alle medie, in “La Stampa”, 3 settembre 2017.