Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) rappresenta certamente un tentativo organico, con le sue numerose azioni (35), di recuperare il ritardo (digital divide) che il nostro paese ha accumulato nei confronti degli altri partner non solo europei, attraverso un deciso investimento nel mondo della scuola. Non sono mancati, a partire dall’avvio del Piano (DM 851/2015), i momenti di confronto e verifica sullo stato di attuazione del PNSD, a partire da quello tenutosi recentemente a Roma (luglio 2017) (cfr. Nanni, 53). Diffusione della banda larga (solo il 47% delle scuole dichiara di fruire di buone connessioni), infrastrutture nelle scuole e nelle classi (il 56% delle aule sono cablate), progetti di formazione, innovazione didattica, individuazione di hub regionali (istituzioni scolastiche ad elevata tecnologia) per la consulenza e il supporto alle scuole sono alcune delle azioni che si vorrebbero intensificare nei prossimi mesi. I problemi da affrontare sono numerosi, sia di natura tecnologica, ma soprattutto di natura culturale e didattica e di risorse umane. Si dovranno certamente migliorare i livelli di assistenza tecnica alle scuole, ma anche incentivare il ricorso al BYOD (superando qualche resistenza all’uso dei dispositivi personali degli allievi), rendere più incisive le Indicazioni metodologiche, definendo un vero e proprio curricolo verticale in materia digitale.
In questo scenario è stata importante la figura dell’animatore digitale, soprattutto quando ha saputo coagulare attorno al suo team energie, disponibilità, motivazioni (cfr. Biancato, 44). In effetti la formazione al digitale richiede un decisivo cambio di impostazione: da una successione di lezioni o corsi più o meno ben fatti occorre passare ad una funzione di accompagnamento sul campo, per mettere i colleghi nelle condizioni di sperimentare le innovazioni con sicurezza e fiducia. I campi ove l’azione degli animatori potrebbe rivelarsi decisiva sono molteplici: dall’allestimento di nuovi ambienti di apprendimento all’ampliamento degli spazi laboratoriali, biblioteche; dalla formazione di gruppi di colleghi al supporto ai processi di digitalizzazione (aule virtuali, registri elettronici, risorse digitali); dalla promozione della ricerca didattica (coding, making, robotica) alla diffusione di buone pratiche ed ai collegamenti con le realtà esterne (cfr. Baldascino, 45).
L’Agenda digitale è quindi serrata e si è recentemente arricchita anche di interventi su “cittadinanza digitale” e “creatività digitale” finanziati attraverso i bandi PON. Al di là delle perenni discussioni che eccepiscono sull’eccessiva enfasi data alla presenza delle nuove tecnologie nelle vicende formative, va ricordato che nelle comparazioni internazionali, purtroppo, il nostro paese rimane ancorato alle ultime posizioni (v. DESI: Digital Economy and Society Index)(cfr. Prontera, 35).
Il digitale non è una moda passeggera, ma è destinata a contrassegnare una vera e propria rivoluzione culturale e produttiva, come ci ricorda il paradigma di Industria 4.0. La scuola non può rimanere ai margini del cambiamento, anzi potrebbe addirittura fare da apripista alle innovazioni nel mondo dell’economia, fungendo da start up di nuove idee e prospettive, ad esempio con i “laboratori territoriali per l’occupabilità” (cfr. Monducci, 43).