Formazione (in servizio)

Si sono create molte aspettative nella scuola italiana attorno al tema della formazione in servizio, definita dalla legge 107/2015 “obbligatoria, permanente, strutturale”. Il punto di partenza è assai fragile: la formazione (per lo più in forma di aggiornamento frammentario) è un’esperienza marginale per gli insegnanti italiani e bassi appaiono i livelli di partecipazione (come pure la scarsa soddisfazione per attività spesso di carattere cattedratico e frontale). Con il Piano nazionale di formazione per i docenti, presentato all’inizio dell’a.s. 2016-17 e tradotto in DM 767/2016, le cose potrebbero cambiare (cfr. il numero monografico di “Voci della scuola” 11/2016, dedicato al Piano. La formazione accompagna l’esperienza professionale dei docenti e deve consentire di approfondire concreti aspetti didattici ed organizzativi del “fare scuola”, riducendo dunque la quota di “lezione frontale” in favore di metodologie più operative. Esiste pur sempre il rischio che l’esigenza di coinvolgere grandi numeri di insegnanti comporti l’organizzazione di attività tradizionali, ma questo non è l’obiettivo del Piano (cfr. Brescianini, 34). Con la legge 107/2015 il baricentro si sposta verso gli insegnanti (cui viene assegnata una Card annuale per far fronte anche a spese di formazione, per un ammontare lordo di 360 milioni) e verso le scuole (cui sono destinati 40 milioni annui per organizzare attività formative). In quest’ultimo caso, l’organizzazione è demandata alle reti di ambito, anch’esse una novità introdotta dalla “Buona Scuola”, con qualche difficoltà a rodare i nuovi meccanismi di governance (pur previsti dalle Linee Guida del MIUR de 5-6-2016). Spesso l’analisi dei bisogni risulta piuttosto un “referendum” individuale per il gradimento di temi e contenuti; a volte le esigenze delle scuole, rappresentate nei RAV e nei Piani di miglioramento, non trovano un giusto riconoscimento; non sempre la qualità delle iniziative è elevata. Organizzare buone “unità formative” (questa è la nuova terminologia adottata per profilare percorsi significativi di formazione) è un impegno non scontato (cfr. Brescianini – Zanarini, 45). I problemi organizzativi e amministrativi permangono (si pensi ai tempi stringati per realizzare le attività e per rendicontarle, alle difficoltà per la scelta di formatori e tutor) nonostante indicazioni e suggerimenti forniti da USR e MIUR (cfr. Granello, 36). Inoltre, non vanno trascurate le diverse professionalità, oltre i docenti, come il personale ATA (cfr. Di Leo, 29) e i dirigenti scolastici (cfr. NdS, 9-10/2017). L’amministrazione centrale ha messo a disposizione una piattaforma, denominata SOFIA, per consentire un migliore incontro tra offerta e domanda di formazione: le agenzie accreditate (ma anche le scuole) possono mettere in vetrina i loro corsi, gli insegnanti possono accedere ad una informazione qualificata su tutte le opportunità formative di interesse (cfr. Cerini, 45), ma la piena operatività sarà graduale. Restano aperti numerosi problemi: la certificazione delle attività, la formazione dei formatori, la definizione di standard professionali, l’elaborazione di dispositivi di accompagnamento come il bilancio di competenze e il portfolio. Inoltre, si attendono precise ricadute della formazione in servizio sul nuovo contratto di lavoro, per delimitare obblighi e impegni, ma anche per definire incentivi e riconoscimenti e una positiva ricaduta sulla carriera. I tempi sono maturi per una svolta che sarebbe “epocale”.