La parola “competenza” è un termine sempre più diffuso nella scuola italiana. I documenti programmatici nazionali (Indicazioni per il primo ciclo, indicazioni e linee guida per il secondo ciclo) ne fanno ampio riferimento; le scuole sono impegnate a progettare “didattiche per competenze”; la stessa valutazione richiede oggi una valutazione (anzi, una certificazione) delle competenze. L’Unione europea ispira i suoi documenti ufficiali alle competenze chiave (8 sono quelle presenti nel documento del 2006, oggi in fase di revisione) e ha elaborato anche un paradigma comune per il rilascio delle certificazioni (EFQ, 2008) recepito nella legislazione italiana (D.lgs 13/2013). C’è dunque un risvolto pedagogico della questione (parlare di competenze rimanda ad un apprendimento “non inerte”, attivo e metacognitivo), ma anche un indotto giuridico e amministrativo. Il legislatore richiede il rilascio di certificazioni delle competenze, al termine di ogni periodo scolastico, anche se le indicazioni in proposito si sono via via stratificate, spesso con modalità non coerenti. Molto attivo appare il fronte del primo ciclo, per il quale è stata avviata (CM 3/2015) un’ampia sperimentazione di un modello innovativo di certificazione, giunto al terzo anno di “prova” (cfr. Cerini, 33), sulla base di apposite linee guida emanate dal MIUR con nota 23-2-2017, n. 2000 (cfr. Nds, 2017). Il legislatore (D.lgs 62/2017) propone ora di generalizzare i nuovi modelli ed estenderli obbligatoriamente a tutte le scuole primarie e secondarie di I grado a far tempo dall’a.s. 2017-18. Le scuole hanno apprezzato il richiamo alle competenze europee, la dimensione trasversale, il riferimento ad una scala di progressione (con livelli al posto di voti), la possibilità di indicare competenze ad hoc, fuori standard (cfr. Spinosi, 48). E’ dunque assai probabile che il modello, che è stato in un qualche modo validato dalla sperimentazione triennale (e di cui è atteso un report a cura del MIUR, cfr. il report dello scorso anno, 2016), sia ora inserito nel decreto ministeriale in fase di elaborazione. Ma i problemi non finiscono qui, infatti la certificazione dovrà contenere anche la descrizione dei livelli di apprendimento registrati nelle prove Invalsi (espunte però dagli esami di stato) di italiano, matematica e lingua inglese (cfr. Cerini, 52). Si tratta di una scelta non a tutti gradita, che però apre interessanti squarci sul significato pro-attivo di una certificazione chiamata a descrivere in positivo le competenze via via acquisite dagli allievi, ancorandole a standard evolutivi. Il concetto di “competenza” dunque si rivela un dispositivo formativo assai dinamico. Oggi lo si vorrebbe estendere anche ad ambiti innovativi della cittadinanza, come quella “digitale”, per la quale è stata aperta una specifica linea finanziaria con i PON (cfr. Baldascino, 38). Resta il problema della delimitazione “classica” del concetto di cittadinanza, con le polemiche attorno allo “ius soli” (cfr. Ciccone, 48), ma l’impegno della scuola è quello di ampliare in una ottica inclusiva l’idea di cittadinanza culturale.
2017-08-07