Povertà educativa: infanzia a rischio

Il nostro Paese ancora non decolla, ma l’Europa non sta meglio

Continuano i dibattiti, le campagne e le analisi sulle povertà educative, sia in Italia sia in Europa, promossi da enti internazionali, associazioni, decision e policy maker.

Così, solo negli ultimi mesi, dopo l’Atlante dell’infanzia a rischio 2016 presentato da Save the children[1] e Treccani a novembre scorso, a gennaio del corrente anno Save the children, attraverso il rapporto Sconfiggere la povertà educativa in Europa. Fino all’ultimo bambino”[2], considera inaccettabile che più di 26 milioni di bambini in Europa siano a rischio di povertà o di esclusione sociale: un numero così alto di bambini che costituirebbe la settima nazione per popolazione dell’Unione Europea.

A tre mesi di distanza è stato pubblicato, sempre da parte della stessa associazione, il rapporto “Futuro in partenza? L’impatto delle povertà educative sull’infanzia in Italia”[3] (31 marzo 2017).

Nondimeno è opportuno richiamare altre due ultime iniziative di rilievo che si sono succedute nel mese di giugno: il seminario internazionale “La povertà educativa minorile”[4], organizzato dall’associazione Treellle e dall’Impresa sociale “Con i Bambini”, e l’incontro tenuto da ACRI (Associazione di fondazioni e di Casse di Risparmio) e Assifero dal titolo “È una questione di educazione. Comunità e crescita delle nuove generazioni”[5].

Interventi legislativi recenti

Altra novità, questa volta legislativa, è la pubblicazione da parte del governo del D.L. n. 91 del 20 giugno 2017, concernente “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”, il cui art. 11 riguarda proprio gli “Interventi urgenti per il contrasto della povertà educativa minorile e della dispersione scolastica nel Mezzogiorno”. Insomma “una buona notizia”, come l’ha definita l’ex sottosegretario Marco Rossi Doria[6] intervenuto alcuni giorni fa sull’argomento, per rilanciare l’azione educativa «nelle aree di esclusione sociale, caratterizzate da povertà educativa minorile e dispersione scolastica, nonché ad alto rischio di adesione alla criminalità organizzata».

Meno entusiastici sono stati, invece, i pareri di alcune forze politiche e sindacali, in quanto le misure introdotte dal decreto in attesa di conversione sono finanziate nell’ambito del PON 2014-2020, e quindi senza nuove risorse. Di contro si proporrebbe di utilizzare le migliaia di insegnanti meridionali, titolari di cattedre al nord e che vogliono tornare nella loro terra, per un progetto straordinario di lotta alla dispersione scolastica, e nel contempo attuare interventi sulla riduzione del numero di alunni per classe nelle aree più difficili.

Più di un milione di bambini – uno su dieci – vive in condizioni di povertà assoluta

Nel nostro Paese più di un milione di bambini – uno su dieci – vive in condizioni di povertà assoluta.

Si tratta di bambini e ragazzi privati spesso della possibilità di apprendere e sviluppare i propri talenti, capacità e aspirazioni, cui vengono negate opportunità fondamentali per la loro crescita. E Save the children punta il dito sulle cause che alimentano questo grosso fenomeno: solo la metà degli alunni italiani usufruisce della mensa scolastica (52%), poco più di 1 bambino su 10 riesce ad andare al nido, il tempo pieno è assente nel 68% delle classi nella scuola primaria e nell’85% nella secondaria, tre alunni su 5 frequentano istituti con infrastrutture inadeguate.

Alla privazione economica e materiale si aggiunge, pertanto, una “mancanza” più insidiosa, spesso difficile da misurare: la povertà educativa (elaborata da Save the Children nel 2014), che priva i bambini e gli adolescenti dell’opportunità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni.

Un Paese dove la “lotteria della natura” determina le differenze di apprendimento

La povertà educativa, come dimostrato da diversi rapporti e ricerche, è fortemente associata allo status socio-economico e culturale della famiglia e ad altri fattori demografici, quali il luogo di nascita, il sesso, l’origine migrante. I dati elaborati da Save the Children fotografano un Paese nel quale è la “lotteria della natura”, ovvero lo svantaggio “ereditato”, e non il talento, a determinare le differenze di apprendimento dei minori. Un Paese, quindi, dove l’ascensore sociale non funziona, e in cui lo svantaggio economico ed educativo si trasmette di generazione in generazione.

Il fenomeno rimane sostanzialmente “ereditario”, un circolo vizioso: la povertà economica ed educativa dei genitori viene trasmessa ai figli, che a loro volta saranno, da adulti, a rischio povertà ed esclusione sociale.

Come riportato dal rapporto dell’OCSE Education at Glance[7] del 2016, l’Italia si caratterizza come uno dei paesi a più bassa mobilità educativa in Europa. Soltanto l’8% dei giovani italiani tra i 25 e 34 anni, con genitori che non hanno completato la scuola secondaria superiore, ottiene un diploma universitario (la media OCSE è del 22%). La percentuale sale al 32% tra i giovani con genitori con un livello d’istruzione secondario, e raggiunge il 65% tra coloro i quali hanno genitori con diploma universitario.

Anche l’ultima indagine PISA-PIAAC (28 marzo 2017)[8] mette in risalto il divario tra studenti avvantaggiati, con almeno un genitore laureato e almeno 100 libri in casa, e studenti svantaggiati, con genitori con un basso livello d’istruzione e con meno libri a disposizione[9].

La povertà cognitiva però – si afferma nell’ultimo rapporto di Save the children – non è un fenomeno irreversibile, e la trasmissione inter-generazionale dello svantaggio può essere interrotta attivando percorsi di resilienza tra i ragazzi che vivono nelle famiglie più disagiate.

Del resto “diventare studente, apprezzando la cultura, lo studio e il sapere è una costruzione sociale alla quale concorrono in molti, dalla famiglia agli attori sociali, dagli operatori della cultura ai protagonisti dei media” (Dutto)[10].

La scuola da ascensore sociale a strumento di differenziazione?

“Nessun paese europeo è immune dalla povertà minorile”, si afferma nel rapporto Sconfiggere la povertà educativa in Europa. Fino all’ultimo bambino” di Save the children.

Un dato che emerge in maniera unanime dalla vasta letteratura sull’argomento è che la povertà materiale si ripercuote sulla povertà educativa, e si alimentano vicendevolmente come in un circolo vizioso: la povertà materiale di una generazione si traduce spesso nella privazione di possibilità educative per quella successiva, determinando nuova povertà materiale e di rimando altra povertà educativa.

Questi risultati aiutano anche a formulare ipotesi sul perché il divario tra studenti di famiglie avvantaggiate e svantaggiate aumenta in molti paesi soprattutto dopo l’obbligo di istruzione, e perché le scuole non sono più in grado di esercitare il loro effetto di compensazione, o a calmierare le disuguaglianze sociali che inevitabilmente si ripercuotono sulle disuguaglianze educative.

Anzi in alcuni territori proprio le scuole finiscono per legittimare le disuguaglianze di partenza, e in taluni casi contribuiscono addirittura ad aumentare quel deficit cumulativo di cui parlava Martin Deutsch.

Allora davvero la scuola “è un ospedale che cura i sani e respinge i malati, e diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile”?

A distanza di cinquant’anni dalla sua scomparsa, il monito del priore di Barbiana, da molti citato ma da pochi praticato, appare più che mai drammaticamente attuale.

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[1] Vedi sull’argomento Scuola7, n. 24 del 19 dicembre 2016, n. 24, https://www.scuola7.it/2016/24/

[2] https://www.savethechildren.it/sites/default/files/files/uploads/pubblicazioni/sconfiggere-la-poverta-educativa-europa.pdf

[3] https://www.savethechildren.it/sites/default/files/files/uploads/pubblicazioni/futuro-partenza.pdf

[4] Attraverso una serie di questionari con le risposte dei relatori sono emersi “Spunti ed esperienze di altri paesi nella lotta contro la povertà educativa minorile” (Roma, 9 giugno 2017), http://www.treellle.org/seminario-internazionale-la-povert%C3%A0-educativa-minorile-roma-9-giugno-2017

[5] All’incontro, oltre ai presidenti delle due associazioni Giuseppe Guzzetti e Felice Scalvini, hanno partecipato tra gli altri: Raffaella Milano, direttore dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, Tommaso Nannicini, presidente del Comitato di indirizzo Strategico del Fondo per il contrasto della povertà educati minorile e Marco Rossi Doria, insegnante, già sottosegretario del MIUR (Roma, 21 giugno 2017).  In periodico delle Fondazioni di origini bancaria, maggio-giugno 2017. https://www.acri.it/_upload/rivista/Fondazioni34-22_5_2017-15_19_14.pdf

[6] Le giuste politiche sull’educazione per rilanciare il Mezzogiorno, di Marco Rossi Doria, in Repubblica, 26 giugno 2017, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2017/06/26/le-giuste-politiche-sulleducazione-per-rilanciare-il-mezzogiorno29.html?ref=search

[7] https://www.oecd.org/education/skills-beyond-school/EAG2016-Italy.pdf

[8] “Le disparità socio-economiche nell’ambito delle competenze aumentano tra l’età adolescenziale e i giovani adulti?”. PISA e PIAAC hanno due indicatori socio-economici in comune: l’istruzione dei genitori e il numero di libri che gli alunni avevano in casa all’età di 15 anni (PISA) e in seguito a 27 anni (PIAAC).

Per un approfondimento vedi Scuola7, n. 38 del 10 aprile 2017, https://www.scuola7.it/2017/38/

[9] I dati PISA ci forniscono altri esempi al riguardo: all’aumentare del numero di libri in casa si osserva il miglioramento delle performance nei test PISA tra i minori che vivono in condizioni svantaggiate. Nelle case dove sono presenti meno di 10 libri il 49% di ragazzi è low achievers in lettura, il 43% in matematica, a fronte di  meno del 30% e del 33% di coloro che vivono in case con più di 10 libri.

[10] Mario Giacomo Dutto, Vela d’altura. Il Dirigente scolastico e la leadership della scuola, Napoli, Tecnodid editore,  2016, pp. 48-49.