Il “non bocciare” di don Lorenzo Milani

Agli svogliati basta dare uno scopo

Una delle critiche più frequenti mosse all’azione educativa di don Milani è quella di aver inaugurato una scuola permissiva e ideologicamente antiselettiva, enunciata nel titolo della prima parte di Lettera a una professoressa: La scuola dell’obbligo non può bocciare“.

Ma come si concilia questa polemica con il fatto che, contrariamente a quello che avveniva nella scuola statale, a Barbiana i ragazzi studiavano, dalla mattina alla sera, 365 giorni l’anno?

Il “non bocciare” di don Lorenzo significa una cosa apparentemente molto semplice: dare di più a chi parte con meno, valorizzando comunque il background culturale d’appartenenza.

Anche per questo a Barbiana non esisteva il libro di testo; al suo posto c’erano vocabolari per approfondire i problemi della lingua, della storia, della geografia, dell’astronomia, della trigonometria, delle lingue straniere…

Attorno ai tavoli, i ragazzi trattavano i temi legati alla realtà, discutevano dei problemi che scaturivano dalla lettura dei quotidiani, progettavano il miglioramento della vita dei parrocchiani, dando vita ad una forma di apprendimento costruttivo, scevro da noiosi nozionismi e inutili ripetizioni.

In altre parole, non si riempivano “vuoti con parole vuote“. Come annota uno degli allievi del Priore, Edoardo Martinelli:

“…la sfida più grande di Lorenzo maestro consisteva nello spostare l’attenzione dai saperi alla persona, dai programmi onnicomprensivi al bagaglio delle conoscenze necessarie e di partenza del ragazzo che doveva liberarsi dalle timidezze contadine. … Il costruttivismo di Lorenzo è contemporaneo a quello di Bruner e d’altri pensatori che concordano sul fatto che il processo di crescita risiede nell’interiorizzare i modi di simbolizzazione dei linguaggi che esistono nella cultura di appartenenza.”

(Martinelli, 2002)

La scuola ha un problema: i ragazzi che perde

Ma il “non bocciare” dei ragazzi di Barbiana andava oltre un’istanza di riscatto sociale delle classi emarginate. Si protendeva verso un orizzonte educativo nel quale i saperi non avevano a che fare con temi avulsi dalla realtà o con problemi “finti”. Le conoscenze poste al centro dell’azione didattica del Priore si compenetravano con istanze legate alla vita della gente e alla costruzione di un personale progetto di vita. Per sostenere questa “rivoluzione” pedagogica, don Milani ricorre, com’è solito fare, ad un linguaggio metaforico, provocatorio, paradossale, che ricorda il suo testamento spirituale nel quale confessa di aver voluto più bene ai suoi ragazzi che a Dio.

Adele Corradi, la professoressa che dal 1963 al 1967 sposò la causa del Priore, afferma che leggendo il suo testamento

“… si comprende che per don Lorenzo l’amore di Dio si potesse vedere solo attraverso l’amore per le sue creature.” (Corradi, 2017)

Lei stessa dice che

“…l’incontro con la scuola di Barbiana e con don Milani ha scavato un solco   nella mia vita. Mi son vista come non mi ero mai vista. E non solo come insegnante, ma come persona.” (Corradi, 2012)

Per questo motivo, sosteneva don Milani, non si può amare tutti indistintamente, ma solo coloro con cui si è in relazione.

Scrive a Nadia Neri il 7 gennaio 1966, pochi mesi prima di morire:

 “…Si può amare una classe sola. Ma non si può nemmeno amare tutta una classe sociale se non potenzialmente. Di fatto si può amare solo un numero limitato, forse qualche decina forse qualche centinaio. E siccome l’esperienza ci dice che all’uomo è possibile solo questo, mi pare evidente che Dio non ci chiede di più.” (Gesualdi, 1970)

Si può allora ben capire l’amore sconfinato per i ragazzi che sono passati dalla sua scuola.

Bocciare è come sparare nel cespuglio

Alla luce di questo sentimento, si comprende l’amara ironia con cui don Milani affronta in quei difficili anni il tema della bocciatura.

“…Bocciare è come sparare in un cespuglio. Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo.” (LP)

Queste affermazioni vanno ricondotte alla durissima selezione che caratterizzava la scuola italiana negli Anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Scrivono i ragazzi di Barbiana:

 “…In seconda elementare Pierino era con tutti. In quinta è già in un gruppo  più limitato. Su 100 persone che incontra per strada 40 gli son già ‘inferiori’.  Dopo la licenza media gli ‘inferiori’ salgono a 90 su 100. Di loro e dei loro   problemi non si sa più nulla.” (LP)

Da qui la radicalità di don Milani a sostegno delle ragioni degli “scartati”. Solo un prete dedito totalmente al suo gregge poteva permettersi di dimostrare che a Barbiana non si perdevano “pezzi”.

“…Chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto  come voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse  tutta per lui.” (LP)

Anzi, don Lorenzo ha voluto testimoniare che in molti casi “la pietra scartata dal costruttore è diventata la pietra d’angolo“.

La lezione continua

L’intransigenza dell’insegnamento milaniano e l’irripetibilità della sua testimonianza hanno ancora molto da dire alla scuola di oggi. Partiamo dall’ennesima “provocazione” educativa.

In Lettera a una professoressa, i ragazzi scrivono:

“…perché il sogno dell’uguaglianza non resti un sogno, vi proponiamo tre riforme:

  1. Non bocciare
  2. A quelli che sembrano cretini dagli la scuola a tempo pieno
  3. Agli svogliati basta dargli uno scopo.” (LP)

Sul senso del “non bocciare”, si può aggiungere a quanto sottolineato in precedenza che a Barbiana ognuno poteva accrescere le proprie propensioni. Il contrario della bocciatura non è la promozione, ma la valorizzazione delle potenzialità di ciascuno. Non si entra nel regno dei cieli per diritto (come pretendevano gli scribi e i farisei), ma con la “violenza”, cioè lottando per impadronirsene.

Il tempo per crescere insieme

La crescita integrale di un ragazzo, però, richiede un tempo educativo che la scuola statale italiana nel Dopoguerra non offriva. Per questo, i ragazzi di Barbiana sostengono la necessità del tempo pieno come orizzonte per promuovere quelle che oggi chiamiamo competenze di cittadinanza: progettare, collaborare, partecipare, comunicare, individuare collegamenti, interpretare l’informazione, … ; un tempo-scuola, dunque, in grado di rispondere ad una molteplicità di bisogni educativi e di esperienze didattiche difficilmente proponibili in un arco di poche ore settimanali.

Ma il significato ancora attualissimo della lezione di don Milani è che bisogna crescere insieme, perché, come sostengono i suoi ragazzi, il mio problema è il nostro problema, anche se i “lenti” e gli “svogliati”, qualche volta, “viene la voglia di levarseli di tornoMa se si perde loro, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati“. (LP)

Sottolinea Eraldo Affinati che a Barbiana si aspettavano i ritardatari, come se si avesse di fronte una montagna da scalare.

 “…Il maestro è la guida. Gli alunni lo seguono. Ma se la vetta non viene  conquistata, il voto dobbiamo metterlo anche al capo carovana.”   (Affinati, 2016)

Siamo arrivati così ai temi attuali del successo formativo, della dispersione scolastica, della valutazione personalizzata, dell’innovazione educativa, dell’apprendimento reciproco, della didattica laboratoriale, dell’alternanza scuola-lavoro, dell’importanza dello studio delle lingue straniere…

Anche per questo, come ha affermato don Bensi, don Lorenzo è più per domani che per oggi!

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Bibliografia

Affinati E. (2017), L’uomo del futuro, Oscar Mondadori, Milano.

Corradi A. (2012), Non so se don Lorenzo, Feltrinelli, Milano.

Corradi A. (2017), R2 Cultura, in “la Repubblica”, 21 aprile 2017.

Gesualdi M. (a cura di) (1970), Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Arnoldo Mondadori, Milano.

Martinelli E. (2002), Pedagogia dell’aderenza, Polaris, Firenze.