Capire il testo, ma soprattutto il sottotesto
Era inevitabile che l’anniversario che ci apprestiamo a commemorare il prossimo 26 giugno 2017 scatenasse polemiche e contrapposizioni sulla figura del Priore di Barbiana. Che si arrivasse però ad ipotizzare che don Milani provasse un’attrazione particolare per i bambini, è decisamente troppo!
Ci consola il fatto che la padronanza della lingua italiana, caposaldo della sua pedagogia, non appartenga all’enciclopedia di molti, anche di coloro che scrivono (o vendono!) libri.
È come accusare Papa Francesco di aver bestemmiato, quando il 4 aprile scorso, in un’omelia a Santa Marta, ha detto che Gesù in croce “si è fatto diavolo e serpente per noi“. Il significato di questa espressione è molto semplice: Cristo si è abbassato a tal punto da annullarsi totalmente per l’umanità. Chi non capisce il sottotesto non comprenderà mai don Milani!
In un incontro che ho avuto il piacere di coordinare parecchi anni fa con Michele Gesualdi e don Silvano Nistri, quest’ultimo riferì una frase pronunciata sul letto di morte da don Lorenzo: “Per i vergini con figli, si suona una musica speciale in paradiso“. È il coronamento del messaggio di Cristo: “Lasciate che i fanciulli vengano a me!“. L’amore che don Lorenzo nutriva verso i bambini era esattamente il medesimo, quello di un educatore “totale” che ha dedicato tutta la sua breve esistenza ai suoi “figliolacci”.
Il cammino di Don Milani
Ho già avuto modo di rimarcare che il cammino di don Milani è stato unico. Egli non intendeva assistere i poveri, ma evangelizzarli facendosi uguale a loro, e l’affetto per i suoi scolari si manifestava nell’infaticabile impegno di “dar loro la parola”. “Essere dilettanti in tutto e specialisti solo nell’arte del parlare“, scrivono i ragazzi di Barbiana. Purtroppo quest’arte si sta perdendo. Lo stesso Priore approda gradualmente a questa conclusione.
Nell’incontro sopra richiamato, Michele Gesualdi sottolineò che ci fu una sorta di metamorfosi tra il “primo” (San Donato Calenzano) e il “secondo” (Barbiana) don Milani.
A Calenzano era ancora il pretino “borghese”; invece Barbiana, che lui definiva “la vera Africa della Toscana“, rappresenta il cambio radicale della sua storia di maestro e di sacerdote. È qui che egli consacra la propria vita alla causa degli ultimi, perché solo chi è in basso può vedere in alto!
Un modello educativo semplice e cristiano
Il suo modello educativo era incentrato su due principi, semplici e cristiani ad un tempo.
Primo: Amare molto! Negli ultimi giorni della sua vita don Lorenzo non riusciva più a parlare, e scriveva al suo padre spirituale don Raffaele Bensi dei foglietti. In uno di questi si rivolge a Marcello (Marcellino), arrivato a Barbiana molto piccolo, in una condizione di totale analfabetismo, e dice: “ Mi diverte l’idea che oggi parlo peggio del mio Marcello. Era il più grullo dei miei bambini, però ho voluto più bene a lui che ad Andrea (suo nipote)”.
E ancora, sempre in uno di questi biglietti, dice: “Io non ho mai fatto a nessuno quello che questi figliolacci fanno a me“.
Secondo: Crescere insieme ai ragazzi come scuola, anche se il maestro deve essere un passo avanti. Ad Enzo Enriques Agnoletti, partigiano e uomo politico toscano, don Milani prima di morire fa questa raccomandazione: “Scrivi che il libro lo hanno fatto i ragazzi; non si dica ancora una volta che è stato don Milani a scriverlo perché non è vero“.
Il suo pensiero, tradotto nelle finalità dell’attuale discorso pedagogico, ripropone:
– la centralità della persona che apprende e la valorizzazione di tutte le potenzialità, soprattutto quelle nascoste;
– l’organizzazione della classe come comunità di apprendenti, appassionati e desiderosi di capire il mondo (soprattutto il prossimo!), e farsi una ragione delle ingiustizie che lo angustiano;
– la promozione delle condizioni di un’alfabetizzazione strumentale e culturale che veda la diretta partecipazione dei ragazzi.
Il genere epistolare
Don Lorenzo Milani ha tenuto una fittissima corrispondenza epistolare con tantissime persone.
Alle lettere egli ha affidato gli entusiasmi e le incertezze della sua vita di sacerdote e di maestro. Anche per aver scelto questo genere letterario, il suo linguaggio va dritto al cuore del lettore. La lettera, infatti, è una scrittura-azione dove la parola si fa esperienza, dialogo, ma anche scontro. Eraldo Affinati racconta che nel 1965, già duramente provato dalla malattia, don Milani trova la forza di scrivere ad una professoressa napoletana che gli chiede consigli e le dice:
“Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio. Ai partiti di sinistra dagli soltanto il voto, ai poveri scuola subito, prima d’esser pronta, prima d’essere matura, prima d’essere laureata, prima d’essere fidanzata o sposata, prima d’essere credente. Ti ritroverai credente senza nemmeno accorgertene. Ora sono troppo malconcio per rileggere questa lettera, chissà se ti avrò spiegato bene quello che volevo dirti“.
Don Milani scriveva di getto senza rileggere, contando esclusivamente nell’azione che stava realizzando e confidando nella sapienza del “suo” fare scuola.
Non ha elaborato un metodo, ma intelligenza, passionalità, erotismo educativo, amore gratuito e disinteressato. Ci ha così lasciato in eredità la più grande utopia pedagogica del Novecento italiano! (continua)
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Per saperne di più:
– Affinati E., Don Milani, che boccerebbe l’Invalsi, Il Venerdì di Repubblica, 14 aprile 2017.
– Francesconi R., L’esperienza didattica e socio-culturale di Don Lorenzo Milani, Centro Programmazione Editoriale, Modena, 1976.
– Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1982.