Le (in)competenze linguistiche degli italiani
Circola in questi giorni, in ambiente universitario ma non solo, un documento dal titolo: “Saper leggere e scrivere: una proposta contro il declino dell’italiano a scuola”. Si tratta di un appello da inviare al Presidente del Consiglio, alla Ministra dell’Istruzione e al Parlamento, scritto per iniziativa del “Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità”, gruppo che di tanto in tanto scrive contro; ad esempio qualche mese fa ha scritto contro l’abolizione del voto numerico nel primo ciclo.
L’ultima lettera-appello prende avvio da gravi incompetenze linguistiche di base rilevate nelle matricole universitarie, e chiede che le competenze linguistiche vengano rimesse al centro della didattica. Tuttavia i proponenti non osservano in maniera critica l’ordine di scuola da cui vengono le matricole, ovvero la scuola secondaria di II grado, ma puntano a colpevolizzare il primo ciclo scolastico.
Vengono fatte in tal senso alcune proposte, la prima delle quali è relativa alla revisione delle Indicazioni nazionali per il primo ciclo.
Le Indicazioni sul banco degli imputati
È difficile credere che gli estensori del documento abbiano letto le Indicazioni nazionali (2012) riguardanti la scuola primaria e secondaria di primo grado; le Indicazioni, infatti, pongono al centro dell’azione didattica l’innalzamento delle competenze linguistiche.
Le Indicazioni affermano che la scuola deve farsi carico del progressivo consolidamento delle competenze linguistiche e comunicative degli allievi, ribadiscono il ruolo centrale e trasversale che l’educazione linguistica riveste nel curricolo della scuola e mettono in rilievo la complessità del suo insegnamento. Il testo ministeriale non si limita a fare affermazioni: mette al centro dell’attenzione le abilità linguistico-comunicative (ascoltare, parlare, leggere, scrivere) considerate separatamente ma anche nella loro integrazione. E pone inoltre in rilevo due contenuti linguistici centrali nel consolidamento: la riflessione sulla lingua e l’acquisizione ed espansione del lessico ricettivo e produttivo.
Per ognuno di tali aspetti le Indicazioni esplicitano i livelli di competenza da raggiungere alla fine della quinta classe primaria e della terza secondaria di primo grado, che rappresentano traguardi obbligatori per tutti i ragazzi italiani. Inoltre elencano gli obiettivi di apprendimento necessari per l’impostazione di un curricolo verticale di italiano e offrono esempi di metodi, strategie, tecniche e attività da svolgere.
La didattica della lingua, ad esempio…
A titolo esemplificativo si riporta qualche stralcio delle vigenti Indicazioni: nella scuola primaria è necessario insegnare agli allievi come preparare un breve intervento, come organizzare un semplice discorso orale su un tema affrontato in classe, oppure come preparare una scaletta per esporre un argomento di studio; per la realizzazione di un testo scritto si raccomanda di portare gli allievi a raccogliere le idee, organizzarle per punti, pianificare la traccia di un racconto o di un’esperienza. E, per la comprensione dei testi letti, si rende necessario imparare a ricercare informazioni in testi di diversa natura e provenienza (…) per scopi pratici o conoscitivi, applicando tecniche di supporto alla comprensione (quali, ad esempio, sottolineare, annotare informazioni, costruire mappe e schemi ecc.).
Sono questi soltanto piccoli esempi degli spunti didattici offerti: le Indicazioni offrono infatti ai docenti una strada ben disegnata, utile a mettere in campo una didattica efficace per padroneggiare la lingua italiana a livelli sempre maggiori di complessità, e lo fanno sulla base delle acquisizioni di studi scientifici.
Il problema dell’appello sembra dunque mal posto. Non sono le Indicazioni a dover essere riscritte; occorre invece consolidare pratiche di esposizione orale, lettura e scrittura, in continuità con la scuola del primo ciclo.
Una proposta irricevibile: chi “controlla” chi?
Nella lettera-appello si parla a più riprese dell’esigenza di controllo degli apprendimenti, di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni, di momenti di seria verifica durante l’iter scolastico…
Gli insegnanti del primo ciclo sono ben consapevoli della responsabilità della valutazione che compete loro, e infatti verificano, sottopongono agli allievi le prove nazionali Invalsi, partecipano alle inchieste internazionali di verifica degli apprendimenti. Evidentemente, per gli estensori del documento, quanto viene fatto dai docenti del primo ciclo non è abbastanza, o non è abbastanza serio, e quanto svolto dall’Invalsi non è sufficiente. Emerge dalla lettera-appello un’immagine totalmente svalutata degli insegnanti del primo ciclo, e in particolare di quelli di scuola primaria; devono essere davvero incapaci se sono necessarie ulteriori verifiche “nazionali”.
La svalutazione dei maestri assume poi un carattere di gravità inaudita quando si propone “la partecipazione di docenti delle medie e delle superiori rispettivamente alla verifica in uscita dalla primaria e all’esame di terza media, utile per stimolare su questi temi il confronto professionale tra docenti dei vari ordini di scuola”.
Gerarchie tra gli insegnanti?
L’idea forte che permea la proposta è di ordine gerarchico. Chi sta sopra deve controllare chi sta in basso. I docenti di scuola secondaria sono superiori non come ordine di scuola, in quanto successivo alla primaria, ma in quanto a preparazione professionale, che si esplica nella funzione di controllo dei subalterni. Chi e che cosa rende talmente superiori gerarchicamente e professionalmente i docenti di scuola secondaria, al punto da decretarne il ruolo di controllore nei confronti dei maestri e delle maestre? Si ignora che l’associazione internazionale IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement) attesta da anni che i bambini della quarta classe elementare si collocano sempre nella fascia medio-alta per la comprensione del testo. Come dire che internazionalmente, almeno per una parte degli apprendimenti, gli insegnanti subalterni sanno fare il loro lavoro.
La formazione linguistica: un impegno per tutti
Ci sentiamo di affermare che la collaborazione tra insegnanti dei diversi ordini di scuola è sicuramente necessaria, ma non per un controllo dall’alto verso il basso. Se si parte dal presupposto che tutti i docenti sono dei professionisti, il lavorare insieme è utile per imparare gli uni dagli altri: si definiscono ambiti di pertinenza, si condividono problemi, si trovano punti di debolezza su cui intervenire.
In un’ottica di condivisione e continuità, anche i docenti della secondaria di secondo grado pianificano e sviluppano un percorso linguistico completo, in coerenza con quanto fatto nelle scuole precedenti, consolidando gli usi, approfondendo la riflessione e ampliando le competenze linguistiche, fino a coprire l’intera gamma di registri linguistici e sottocodici specialistici.
Le competenze linguistiche necessarie ad una partecipazione consapevole alla vita sociale sono sempre più alte, e sempre più fragili le basi culturali delle famiglie di provenienza, per cui l’insegnamento linguistico deve continuare con sistematicità anche dopo il primo ciclo.
I nuovi contesti socio-linguistici
Infine, se si vuole discutere sulla professionalità docente, si possono toccare temi di politica scolastica, quali ad esempio le modalità della formazione iniziale e in servizio, e quelle del reclutamento. E si può parlare delle difficoltà di operare in una realtà scolastica odierna composita e complessa, non soltanto per la presenza di allievi stranieri e di una pluralità di culture. I processi di trasformazione della famiglia, dei modelli educativi, dell’organizzazione del mondo produttivo; l’influenza di un contesto extrascolastico ricco di opportunità e di stimoli, ma anche disorientante; la presenza di una società ricca di risorse ma anche di nuove povertà… tutto assume rilievo a scuola ed è reso evidente nelle caratteristiche dei nuovi bambini, ragazzi e adolescenti, che sono cambiati rispetto al passato.
Questi temi riguardano però tutti gli insegnanti, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, nessuno escluso.