Conferenza nazionale e diritti dei disabili
Il tema dell’integrazione sociale e non solo scolastica delle persone disabili dovrebbe essere uno degli aspetti qualificanti di ogni società civile. Ci appassioniamo alla vita dei disabili in occasione delle “Paralimpiadi” e dell’eroico Alex Zanardi, o del pianista Ezio Bosso a Sanremo, ma l’inclusione va realizzata giorno per giorno nelle scuole, nei servizi sanitari, nel mondo del lavoro, nel tempo libero. Di questo si è occupata la 5° Conferenza Nazionale sulle politiche della disabilità, che si è tenuta a Firenze nei giorni 16 e 17 settembre 2016 e che ha visto la partecipazione di oltre 1.000 delegati, per un confronto serrato sulle politiche dell’integrazione nei diversi settori, così come ci siamo impegnati firmando la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. I paesi aderenti sono invitati a rendere pubblici i risultati raggiunti nei vari campi. In Italia c’è molto da fare in settori decisivi come la sanità (con le modalità di rilevazione delle situazioni di invalidità), o il mondo del lavoro (per le difficoltà a conseguire un’occupazione), o in generale nell’accessibilità (ancora troppe città sono una giungla di ostacoli per le persone disabili). L’integrazione scolastica è certamente un fiore all’occhiello delle politiche italiane, e le imponenti cifre stanno a dimostrarlo, ma non tutto è realizzato a “regola d’arte” (come qualche anno fa attestò la ricerca di Caritas, Fondazione Agnelli e Erickson) (1). Dai lavori del convegno, promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in una logica inter-istituzionale, è uscito dunque un preciso monito a fare di più, a raccordare i diversi interventi, ad adeguare il quadro normativo, a predisporre le necessarie risorse finanziarie, com’è stato richiesto al premier Renzi in visita ai padiglioni delle associazioni e degli Enti presenti a Firenze.
In materia di integrazione scolastica
Le proposte dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con Disabilità (OND), operante presso il Ministero del Lavoro, tendono a consolidare e rendere più efficace il processo di inclusione scolastica, con maggiore impegno per il monitoraggio e il controllo. Si prevedono: l’ingresso precoce dei bambini con disabilità nel sistema formativo, l’erogazione in modo più uniforme dei servizi di assistenza nelle scuole, nonché una più incisiva formazione dei docenti di sostegno e di tutto il personale scolastico.
Su questo tema si è avuta eco nel Convegno (che ha dedicato una sessione ai problemi della scuola) delle diverse ipotesi in discussione. Come è noto, all’inizio del dibattito si fronteggiavano due posizioni molto differenziate: chi proponeva una radicale riforma del sostegno, prevedendo uno specifico percorso “separato” di formazione e di carriera per i docenti specializzati; chi invece riconfermava l’attuale situazione, pur con alcuni aggiustamenti per rafforzare i crediti “specifici” sulla disabilità, ma anche per evitare la precarietà e la discontinuità delle figure di sostegno. Le associazioni scientifiche SIPED e SIPES si sono orientate per un percorso non separato.
Nella scuola reale, intanto…
Il processo di integrazione caratterizza la scuola italiana da oltre quarant’anni. Interessa tutti i settori educativi, dal nido all’università, accogliendo 224.509 allievi (se ci limitiamo al segmento prettamente scolastico dai 3 ai 19 anni), che rappresentano il 2,87% dell’intera popolazione scolastica. A fronte di questi inserimenti operano 124.572 insegnanti di sostegno (il dato è riferito ai posti autorizzati per l’a.s. 2016-17), mentre le assegnazioni del personale su tali posti sono ancora in via di completamento. E questa disfunzione quest’anno si è notevolmente amplificata, per le mobilità straordinarie dei docenti.
Il problema, oggi, non è la quantità del sostegno ma la sua qualità. Parliamo dunque di prima formazione e formazione in servizio dei docenti, non solo di quelli di sostegno, sui temi della disabilità, sulle didattiche inclusive, sulla progettazione personalizzata. Parliamo dei supporti di personale assistenziale qualificato, di raccordi con gli altri mondi (il progetto di vita), del contributo delle tecnologie. Parliamo soprattutto della capacità della scuola di prendersi carico dell’integrazione, della tempestività delle segnalazioni, della stabilità/continuità del personale, delle verifiche e dei monitoraggi della qualità della scuola inclusiva (e fa piacere trovare nel RAV un’intera area di valutazione dedicata all’inclusione, che può diventare determinante nell’esprimere un giudizio positivo sulla scuola, sul suo dirigente, sui suoi insegnanti).
Ancora oggi è valido il principio che l’integrazione scolastica non si basa solo sul sostegno, ma sui sostegni al plurale (la frase è di Andrea Canevaro): occorre una classe capace di accogliere e di integrare, un team docente affiatato capace di flessibilità di impegni e di ruoli, la supervisione di specialisti e tecnici capaci di “leggere” le situazioni più gravi, i necessari supporti assistenziali, le tecnologie appropriate.
C’è ancora molto da fare
Per poter qualificare l’integrazione il legislatore italiano, con la legge 107/2015, ha delegato il Governo ad emanare un nuovo decreto legislativo che possa affrontare alcuni dei nodi irrisolti dell’integrazione scolastica. Leggendo le prime bozze, sembra di capire che abbia prevalso una soluzione di estrema cautela. È pur vero che la permanenza nel sostegno si allunga a 6 anni (dunque due incarichi triennali), ma la formazione continua ad essere appoggiata su un tronco culturale comune, cui si aggiungono le specializzazioni sul sostegno. La certificazione continuerà ad essere rilasciata dai servizi specialistici (oggi INPS), la documentazione sarà semplificata integrando diagnosi e profilo funzionale, la progettazione richiederà sempre gruppi di lavoro integrati, mentre la valutazione dei fabbisogni di “ore di sostegno” viene demandata a gruppi di lavoro costituiti presso gli ambiti territoriali (e non più a livello provinciale). Cambiano anche struttura e funzioni dei diversi Gruppi di Lavoro. Inoltre, tenendo conto dell’esigenza di un maggior raccordo tra gli interventi, viene costituita una sorta di “sportello unificato” a livello locale, ove dare risposte tempestive alle diverse esigenze connesse allo stato di disabilità.
L’integrazione scolastica è un punto di orgoglio del nostro sistema scolastico; la speranza è che i nuovi interventi normativi siano capaci di risolvere le criticità segnalate dai vissuti quotidiani di genitori, allievi, insegnanti, ma anche oggetto dei report delle grandi organizzazioni internazionali da cui abbiamo preso le mosse per questa riflessione.
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(1) L. Lega, Integrazione dei disabili: le proposte della Fondazione Agnelli: http://www.edscuola.it/archivio/ped/integrazione_dei_disabili_FA.html