A Torino, una battaglia legale
La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 1049 del 21 giugno 2016, ha accertato “il diritto degli appellanti di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica ed il pasto domestico da consumarsi nell’ambito delle singole scuole e nell’orario destinato alla refezione”.
Tanto è stato confermato da successive ordinanze cautelari in quanto, nonostante la portata generale del principio, l’USR Piemonte, con Nota Reg. prot.n. 7480/2016, ha negato riconoscimento alle istanze proposte da famiglie che non erano parte del giudizio d’appello.
La problematica è posta per la scuola dell’obbligo (primaria e secondaria di primo grado) con esclusione della scuola dell’infanzia.
Il diritto: la mensa non è la refezione
La “mensa scolastica” , quale momento formativo e di socializzazione, rientrante nel tempo scuola in quanto parte dell’offerta formativa, non può essere assimilata al servizio di refezione scolastica (a pagamento).
Non esiste alcuna norma che vieti il consumo di pasti portati da casa nei locali scolastici.
Il Tribunale di Torino ha pertanto condiviso l’impostazione per la quale il diritto di consumare a scuola, durante la mensa, un pasto preparato da casa sia espressione in particolare dei diritti costituzionali allo studio e di uguaglianza.
Infatti, l’art. 34 Cost. prevede l’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore per almeno 8 anni. In quanto principio assoluto e non relazionato al reddito dei soggetti che devono fruirne non può essere condizionato da prestazioni a pagamento.
Con il dlgs 59/2004 la funzione della scuola supera la semplice trasmissione del sapere e la successiva CM 29/2004 ha chiarito che i tre segmenti del monte orario: “obbligatorio”, “facoltativo” e “riservato all’erogazione del servizio di mensa e di dopo mensa” “rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico”. Per l’effetto l’organico è determinato anche “per garantire l’assistenza educativa del personale docente” anche durante il tempo mensa e post mensa a prescindere dall’adesione al servizio.
I Comuni appaltano il servizio di refezione a ditte private. Esso, come precisa il DI del 31 dicembre 1983 è servizio a domanda individuale e come tale non obbligatorio.
Il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) non è pregiudicato dal consumo di pasti diversi, peraltro previsto anche dal servizio di refezione per riscontrare le preferenze dell’utenza, quanto dalla circostanza che vi sono studenti costretti ad allontanarsi dalla scuola durante un’attività educativa per consumare altrove il pasto.
L’illegittimità dell’allontanamento da scuola
Le amministrazioni hanno sino ad ora consentito soltanto che, previa autorizzazione all’uscita ed entrata fuori orario, le famiglie che non aderiscono al servizio di refezione possano prelevare i figli da scuola all’ora di pranzo, far loro consumare il pasto altrove e riaccompagnarli per continuare le lezioni.
Invero, ciascun istituto può articolare il proprio orario scolastico settimanale in 24, 27, sino a 30 e 40 ore. (DL 147/07 convertito dalla L. 176/07; DL 112/08, convertito dalla 133/2008; DPR 89/09). Tale organizzazione è resa pubblica nel piano di offerta formativa e sulla base dello stesso le famiglie effettuano la propria scelta all’atto dell’iscrizione, in base alle proprie esigenze ed ai posti disponibili, per un tempo scuola che comprenda il tempo mensa, senza che tanto obblighi ad aderire al servizio di refezione. Il prelievo ed il successivo accompagnamento oltre ad incidere sulle famiglie che optano per una modalità oraria che preveda il tempo mensa molto spesso anche per esigenze di lavoro e quindi non possono farsene carico, implica altresì, per le ragioni esposte, la perdita per lo studente di quella parte del “tempo scuola” destinato al pranzo comune che ha una funzione educativa e non può essere negato né subordinato al pagamento del servizio di refezione. Pertanto l’unica soluzione praticabile e coerente al dettato normativo è quella di consentire agli alunni che non vi aderiscono di consumare a scuola il pasto preparato a casa.
Refettorio e organizzazione del servizio
Il giudice ordinario non può interferire con l’autonomia organizzativa e la discrezionalità dell’istituzione, individuando d’autorità i locali presso i quali consumare il pasto domestico ovvero le modalità di esercizio del diritto, ma le scelte delle scuole non possono snaturare o annullare tali scelte.
Ravvisandosi tuttavia la necessità di dettare regole di coesistenza nell’utilizzo dello stesso refettorio da parte degli studenti con pasto da casa e non, il Tribunale di Torino ha previsto come possibili soluzioni la divisione in due ali del refettorio o l’avvicendamento di gruppi di utenti, ma anche altre che però assicurino la coesistenza degli allievi, negandosi ogni caso di reciproca esclusione.
Peraltro il Giudicante pone la questione igienico-sanitaria inquadrandola nell’ottica della salute dello studente che sceglie di non avvalersi del servizio di refezione offerto e consuma il pasto domestico a scuola.
Quanto all’uso comune del refettorio, per effetto di rapporti di natura contrattuale sovente affidato dai alle ditte appaltatrici del servizio di refezione, questa circostanza non può pregiudicare il diritto dell’alunno a consumare a scuola un pasto domestico in quanto codeste convenzioni “non hanno valore di fonte normativa e sono res inter alios acta”.
Il presunto rischio “contaminazione” appare pretestuoso perché uno scambio di alimenti non può escludersi neanche in caso di utilizzo esclusivo della ristorazione in considerazione degli svariati menù alternativi previsti.
Il “panino” (pasto domestico) tra scuola e famiglie
Ricordando che per l’art. 30 della Costituzione “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli …” le Linee Guida per l’educazione alimentare affrontano il tema dell’alimentazione sotto il profilo didattico, invitano reiteratamente alla collaborazione con le famiglie, a “stabilire alleanze positive” con esse “… per favorire il senso di appartenenza alla vita della Scuola, condividendo le strategie educative alimentari”, al loro “coinvolgimento…anche alla luce del patto di corresponsabilità educativa” considerando assolutamente negativa e controproducente la loro esclusione.
Il rispetto degli standard HAACP previsti dal regolamento UE n. 852/04 e la sussistenza di idonea copertura assicurativa in caso di danno a terzi riconducibile alla gestione del servizio di mensa gravano sull’appaltatore e non sui privati.
Il parere igienico-sanitario dell’ASL Piemonte n. 5 del 14.2.2001 in merito a conservazione e riscaldamento delle vivande portate da casa, non appare rilevante né interdittivo alla scelta. Così come il Regolamento (CE) n. 853/2004 in materia di igiene per gli alimenti di origine animale che, per espressa previsione dell’art. 1 comma 2 lettere a) e b) non si applica alla produzione primaria per uso domestico privato e alla preparazione, alla manipolazione e alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumo domestico privato.
Il patto di corresponsabilità educativa esclude evidentemente che siano i tribunali a gestire i rapporti scuola-famiglia. Quindi si rendono più che mai opportune una imprescindibile condivisione e il rispetto anche per le scelte alimentari.
Per gli approfondimenti sulla questione si rinvia al numero 2 di Notizie della Scuola di prossima uscita.