Sembra una cosa seria…
Allora, si vuole fare sul serio puntando sullo sviluppo professionale dei docenti? Ci sono, a livello nazionale, segnali di garanzie e testimonianze di responsabilità nel mettere in evidenza l’importanza di una formazione obbligatoria, permanente e strutturale. Il comma 124 della legge 107/2015 non è stato solo un “incidente di percorso”, come a volte capita, quando alcune importanti scelte istituzionali, sono poi rese inagibili da “avvertite dimenticanze” di tipo tecnico operativo.
Sembra invece che sull’importanza della formazione i decisori politici ci credano davvero: l’hanno richiamata già ad inizio anno (nota 7 gennaio 2016, prot. n.35) fornendo Indicazioni orientative su come definire il piano triennale per la formazione del personale; hanno annunciato un Piano nazionale anticipando alcuni passaggi attraverso una ulteriore nota (15 settembre 2016 prot. 2915); soprattutto hanno investito risorse vere: 40 milioni di euro annui (comma 125), a decorrere dall’anno 2016, per attività a cura delle istituzioni, e 381 milioni di euro (dpcm 23 settembre 2015) da assegnare direttamente ai docenti (card di 500 euro ogni anno), per sostenere la loro formazione continua e per valorizzare le loro competenze professionali.
Le priorità nazionali
Il modello che si sta cercando di costruire è quello che vede interagire le azioni istituzionali (centro nazionale, snodo regionale, reti territoriali, istituzioni scolastiche autonome) con iniziative specifiche dei singoli docenti, volte ad enfatizzare le responsabilità e gli aspetti vocazionali di ciascuno.
L’ultima circolare del 15 settembre (in attesa del piano) ci ricorda che uno degli obiettivi primari, di ogni politica innovativa di governo, è quello di sostenere tutti gli operatori della scuola nei rispettivi processi di sviluppo, al fine di potenziare una professionalità di alto profilo, orientata ad anticipare le domande, piuttosto che a conformarsi sull’esistente.
Se da un lato emerge, in controtendenza rispetto al passato, l’enfasi sulle identità, sulle disposizioni vocazionali, sulle competenze sommerse di ciascun soggetto (il bonus per ogni docente ne è la conferma), dall’altro la circolare sottolinea che c’è un interesse nazionale che deve essere perseguito: la scelta di nove priorità come aree strategiche ne è la conferma. Esse sono:
1. Autonomia organizzativa e didattica
2. Didattica per competenze ed innovazione metodologica
3. Competenze digitali e nuovi ambienti di apprendimento
4. Competenze di lingua straniera
5. Inclusione e disabilità
6. Coesione sociale e prevenzione del disagio giovanile
7. Integrazione, competenze di cittadinanza e cittadinanza globale
8. Scuola e lavoro
9. Valutazione e miglioramento
Aree strategiche, domande della scuola e bisogni dei docenti. Come tenere tutto insieme?
È pur vero che ogni sistema nazionale deve garantire l’efficacia dei propri meccanismi di governo; deve quindi avere idee chiare sulle finalità da perseguire ed anche sulle stesse modalità di azione da privilegiare. Ma la scuola si prefigge anch’essa scelte prioritarie, avendo responsabilità dirette (l’autonomia è stata enfatizzato dalla legge 107/2015). Contestualmente anche il singolo docente deve rispondere dei propri comportamenti essendo maggiormente coinvolto nelle principali azioni del governo della scuola (PTOF, RAV, PdM ecc), anche attraverso la cura della propria formazione permanente (comma 124) e avendo anche le risorse per realizzarla (comma 121, carta elettronica).
Le scelte non saranno facili. C’è il problema di come raccordare le priorità nazionali con le scelte della propria scuola e con quelle dei docenti; di come conciliare, quindi, le esigenze di tutti.
Occorre sicuramente una disponibilità di fondo di tutti gli interessati, ma non basta la semplice propensione a costruire intese istituzionali. Serve soprattutto una grande capacità di governance, che significa: autovalutazione vera, coerenza, ascolto, attuazione di strategie efficaci e programmi che funzionino nell’interesse di tutti.
La circolare ricorda la necessità della co-progettazione, raccomanda di avvalersi delle strutture tecniche che esistono sul territorio, di ricercare e sviluppare rapporti di partenariato con i diversi enti e soggetti.
La rete ci aiuta?
Perché ci sia apprendimento continuo occorrono diverse condizioni che attengono sia alla persona sia al contesto di lavoro. Nel primo caso la possibilità per ogni docente di poter accedere ad una quota dedicata (500 euro) costituisce di certo il requisito di base. Esso da solo non è sufficiente a costruire o alimentare la cultura della cura professionale. Sono necessarie altre variabili di contesto: una scuola virtuosa, un dirigente che ci crede, promuove e vigila, una rete di scuole che faciliti la possibilità di accedere a percorsi mirati sia per migliorare la cultura professionale di ogni insegnante sia per rispondere alle esigenze formative della scuola in cui si insegna.
Sono quindi necessarie alcune tecnicalità che funzionino e conseguentemente una struttura organizzativa dedicata. Il comma 70 della legge 107/2015 prevede l’obbligo di costituire reti finalizzate proprio alla valorizzazione delle risorse professionali partendo da una gestione comune delle attività amministrative. Con la circolare 6 giugno 2016 (prot. n.2151) si rafforza il concetto attraverso ulteriori indicazioni e fornendo altresì modelli esemplificativi per la definizione dei relativi accordi.
Tuttavia, anche se le indicazioni istituzionali sono chiare, anche se ci saranno sicure risorse assegnate ad ogni scuola polo che agisce in nome di una rete, realizzare tutto ciò in maniera efficace non è una conseguenza automatica. Non è facile prendere decisioni di rete che rispettino le esigenze di ogni singola istituzione che, a sua volta, deve tener conto delle domande di ogni singolo docente, sia riferite ai bisogni professionali d’aula, sia alle vocazioni personali di ognuno.
La rete tra liberismo e centralismo
Resta una operazione assai complessa quella di conciliare l’idea liberista che sottende la card di 500 euro con il modello centralista che le indicazioni della circolare del 15 settembre sembrano invece veicolare. È chiaro che lo spirito dei tempi non vuole che le risorse si frazionino in mille rivoli. Si sarebbe potuto, per esempio assegnare i 40 milioni di euro direttamente alle scuole. Ma, quale azione strategica efficace avrebbe permesso una cifra di circa 2.500 euro (che è quella che, mediamente, sarebbe stata assegnata ad ogni istituzione scolastica)? La circolare vuole invece che ci sia una governance territoriale di ambito (sono 231 quelli recentemente costituiti) e che la responsabilità anche amministrativa sia di una scuola polo (specifica per la formazione) che potrà anche non coincidere con la scuola capo fila delle reti di ambito.
Ora, bisogna impegnarsi a fare passi da giganti per evitare che lo spirito competitivo prevalga sulla cooperazione virtuosa, per superare l’autoreferenzialità che ancora permane anche nelle scuole migliori, per velocizzare la capacità di usare gli strumenti giusti per una progettazione partecipata, integrando funzioni e competenze di tutti.
Per gli approfondimenti sulla questione si rinvia all’articolo di G. Cerini “A piccoli passi verso il Piano nazionale di formazione” nel prossimo numero di Notizie della Scuola