Al via lo “zerosei”? Come sarà?

Le ricerche internazionali e nazionali convergono nel ritenere che un’esperienza educativa di qualità nei primi anni di vita, ancora prima dei tre anni di età, può risultare decisiva nel garantire pari opportunità di crescita a tutti i bambini, a prescindere dalle stesse condizioni sociali e culturali di appartenenza. Il dato è confermato anche dalle ricerche presentate in questi giorni dalla “Fondazione De Benedetti”*. Eppure, la situazione italiana in materia di servizi educativi per la prima e la seconda infanzia (da zero a sei anni) è del tutto deficitaria, al di sotto delle soglie minime che l’Europa auspica.

Il percorso 0-6 è presidiato da due strutture con solida identità organizzativa e istituzionale: l’asilo nido, che però risponde solo a circa il 15% della fascia di età (0-3 anni), con pilotaggio legislativo regionale e gestione affidata ai comuni e a privati accreditati (in parti quasi uguali); la scuola dell’infanzia, che risponde a circa il 95% della fascia di età (3-6 anni), con regia legislativa statale e gestione affidata allo Stato (55%), ai Comuni (15%), al privato paritario (30%).

Ci sono punti di eccellenza pedagogica nei nidi e nelle scuole dell’infanzia italiane, riconosciuti e apprezzati a livello internazionale, da cui ripartire per estendere i livelli di qualità a tutto il sistema educativo per l’infanzia e oltre. Questo sembra l’obiettivo della delega legislativa, una delle nove contenute nel comma 181 dell’articolo unico della legge 107/2015, per promuovere un sistema organico di servizi educativi, integrato in senso verticale (tra nidi e scuole d’infanzia) e orizzontale (tra le diverse forme di gestione: pubblica e privata).

Storicamente il sistema pre-scolastico vede la presenza dei comuni, del privato sociale, dello Stato (unicamente nel settore 3-6). Il decreto legislativo delegato, la cui prima bozza è ormai pronta e dovrebbe essere diffusa prima dell’estate, si pone l’obiettivo di dare regole certe ed essenziali (standard di qualità) per progettare insieme lo sviluppo dei servizi educativi, definire i parametri di un buon funzionamento, regolare i sistemi di controllo e di verifica. La regolazione pubblica del sistema “integrato” (lo Stato fornisce gli indirizzi e le risorse, le Regioni promuovono la qualità, i comuni assicurano l’integrazione sul territorio) appare una contropartita ragionevole per l’erogazione di finanziamenti pubblici al settore privato convenzionato o paritario.

Di fronte alle preoccupazioni di chi teme la creazione di un generico servizio educativo che graviterebbe nell’area dell’assistenza e del welfare, il decreto specifica bene che siamo in presenza di due diverse realtà: i servizi educativi, fino a tre anni, affidato ad “educatrici”, e le scuole dell’infanzia, dai tre ai sei anni, affidate ad insegnanti. Entrambi, però, con una qualificazione universitaria. Si tratta di due strutture distinte, con qualche zona di intersezione: pensiamo alle sezioni primavera per bambini da 24 a 36 mesi, che il decreto intende consolidare ed estendere (ed in cui si può intrecciare la presenza di insegnanti ed educattrici) o alla novità del polo zero-sei anni che potrebbe riguardare alcune situazioni sperimentali ad alta valenza innovativa, un vero e proprio “campus per i bambini”, anche mediante interventi strutturali per edificazione e ristrutturazione di poli, con i fondi dell’edilizia innovativa, fornendo sostegno a progetti-pilota, gestibili da Comuni, Privati, ma anche dallo Stato.

Occorre però un forte messaggio di salvaguardia in positivo dei modelli pedagogici ed istituzionali attuali (nidi e scuole), che caratterizzano il settore. Ad esempio, la scuola dell’infanzia statale dovrà veder migliorati i propri livelli di qualità, attraverso l’adozione di un organico funzionale, fasce di compresenza, coordinamento pedagogico, formazione in servizio per tutti. L’idea guida è che lo “zerosei” consente a tutto il sistema educativo di crescere, di essere valorizzato e sostenuto, per una rinnovata credibilità pedagogica e sociale, anche perché dà risposte di qualità ad una domanda sociale assai diversificata. Non è la scuola dell’infanzia a “scendere” nell’area del welfare, ma il nido a “salire” nell’area dell’educativo. Infatti, dovrà essere il MIUR a pilotare l’intero sistema, a partire dalla elaborazione di “Orientamenti educativi” affidati ad una apposita commissione scientifica.

In definitiva, Investire sullo “zerosei” significa credere nel futuro del nostro paese, nella ripresa dei tassi di natalità, nella vocazione all’accoglienza e alle pari opportunità, nella crescita economica. I genitori italiani devono avere la sicurezza che quando nasce un figlio, anche se cambi città, trovi un nuovo lavoro, metti su famiglia, ci sono un “nido” e una “scuola dell’infanzia” a portata di mano. Questo significa decidere di spostare risorse consistenti verso l’infanzia, anche in misura più consistente di ciò che si intravvede nel decreto legislativo (si partirebbe con un budget aggiuntivo di circa 200 milioni all’anno).

Una volta approvato il decreto legislativo (autunno 2016?) sarà poi necessario definire un Piano pluriennale di azione, per generalizzare e qualificare lo “zerosei”, definire con apposito decreto gli indicatori-standard di qualità, procedere alle necessarie concertazioni tra Stato-Regioni-Enti locali (con le incognite del Referendum costituzionale) e assegnare le relative risorse.

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*Materiali e relazioni in: http://www.frdb.org/page/events/categoria/conferences/scheda/frdb-conference-child-care-policies/doc_pk/11154